Paris is a moveable feast ("Festa mobile" Hemingway). Blog su un erasmus a Parigi.

Wednesday, November 30, 2005

soixante et cinquième-sixième jour

Domenica si pranza fuori. E’ il compleanno di Elodie e si va a mangiare in un ristorante indiano vicino a Chteau d’eau. L’indio locale ci sistema vicino alla porta -ma qualsiasi tavolo è “vicino alla porta”- dalla quale si insinua un vento fatale per la digestione, i cinque più vicini mangiano con il cappotto. Ordiniamo tutti qualcosa a che fare con il curry, delle nan -piada- e del lassi, una sorta di milkshake al mango. Quando è ora di pagare tutti precipitano nel panico perché il buonuomo non prende carte di credito. Si fa la fila davanti all’atm. Il quartiere non è Saint Germain, c’è un solo bancomat, ma un distributore di preservativi ad ogni angolo. Prevenzione sociale.
Tornati al foyer il pomeriggio si resta a studiare e studiare e scrivere e rileggere, con grandi prospettive per la sera. Un film? Delle chiacchiere da qualcuno? Un tè? Una birra? Lentamente tutti i candidati si ritirano, compresa Naima con la quale avevo mangiato una frittata senza forma. Restiamo io e Johannes. Robert si è tirato fuori perché di ritorno da un week end “d’integrazione” con la sua classe, dove in pratica hanno vissuto allo stato animale per due giorni in una casa di campagna. Fregandosene della sua posizione io e Johannes decidiamo di invadere la sua camera e bere una birra in sua presenza. Ci accoglie e ci offre addirittura beni alimentari inviati dalla nonna tedesca.

Lunedì è il giorno prescelto per iniziare il terzo dossier. Essendo chiusa la Bnf il luogo del crimine si sposta alla Bpi, Centro Pompidou. Ora, il Pompidou è pericolosamente vicino a una delle pasticcerie più famose di Parigi. Il suo nome è Stohrer, la sua residenza su questa terra è rue Montorgueil, ma è una sorta di patrimonio dell’Unesco nel campo dell’alimentazione di lusso. Decido di consumare là il mio ultimo pasto. Entro e vengo colto da afasia, un po’ come portare Bukowsky in una distilleria. Prendete e mangiatene tutti. “Oui monsieur?” Calma. Non sono mica un abitué. “Est-ce que vous pouvez me conseiller? Quelle est votre spécialité?”. Lui inizia a parlare e io lo fermo al Puits d’amour, di cui vi trasmetto la descrizione: “toujours réalisé dans les moules d’origine datant de la fin du 19ème siècle . Le PUITS D’AMOUR est composé d’un feuilletage, d’une crème pâtissière vanillée et caramélisée sur le dessus au fer rouge”. Alleluia! In più prendo una banale fuilletage aux noisettes. Lui incarta e io me ne vado.
Mi siedo davanti al Pompidou ridendo per la felicità solo a vedere il capolavoro. Un opera dell’illuminismo. Mordo e quasi mi vergogno di mangiarlo in pubblico, tanta è la voluttà, il godimento che regala. Un altro livello, come aver guidato una 127 tutta la vita e ritrovare oggi una porche in garage. Due eventi vengono a perturbare il rito iniziatico. Uno: con una probabilità netta dell’1% proprio in quel momento passa di li un’erasmus tedesca con i genitori. Ci si limita a un saluto, fortunatamente. Due: non so perché un tizio ha la ferma intenzione di dirigere verso di me, gettando mollica di pane, tutti -tutti- i piccioni del Pompidou, e mi costringe a spostarmi per evitare che il piccione di turno si pappi immeritatamente il mio pasticcio. Il croissant aux noisettes lo mangio in coda per entrare alla Bpi. Dolce attesa. Questo è l’avvenimento culmine della giornate, tutto il pomeriggio passa al Pompidou a studiare. La sera alle 8 ho un’anteprima alla Cinémathéque: “Le temps qui reste” di Ozon. Non dico che mi aspettassi un film da ridere, ma avevo voglia di rilassarmi un po’, questo si. Bene. Il titolo del film, il tempo che resta, è il tempo che resta al protagonista dopo aver scoperto che ha un tumore maligno al cervello. Dopo un minuto. Paf!
Bello? Bello.

Monday, November 28, 2005

Soixante et quatrième jour

Sabato Parigi si sveglia con la neve. Zero gradi, fiocchi consistenti. Prima missione mattutina andare in rue Montgallet a comprare un hard disk esterno da Surcouf (Naima: “Già che sei li mi compri una stampante?”). Dovete sapere che rue Montgallet si prolunga fino a Boulevard Daumesnil e raccoglie il più alto numero di negozi di informatica di Parigi. Molti a gestione cinese, con prezzi da componenti “cadute dal camion”. Un negozio di 20 metri quadri ha Tutto. Probabilmente questi imbottiscono i materassi con schede di memoria, fanno il bagno tra i mouse, hanno monitor al posto degli specchi. La materia si autogenera da un magazzino inesistente. La mia scelta però è arrivare a Surcouf, in fondo alla strada, magazzino di tre piani con prezzi leggermente più alti, ma prodotti in garanzia. Tornato al foyer innevato e carico di tecnologia Sonia lancia la sfida su internet “Gara di foto di Parigi innevata”. Accetto, vado al mercato, Rocamadour e Cabecou, uova, zucchine. Progetto: chevre chaude a pranzo e omelette a cena. Alle 14 esco con Johannes e Naima. Destinazione Place des Vosges. Ormai ha smesso di nevicare, è rimasto poco, le foto si scattano strategicamente, evitando le parti di terra non imbiancata. Le “opere” sono coperte dal segreto del concorso -per ora rimandato causa non neve- ve ne mostro solo una, per depistare l’avversario. Dato che non vale la pena continuare la caccia alla neve andiamo al Louvre, dove continuiamo la parte nordica arrivando a Vermeer, Borch, Metsu, Van Ostade, Holbein. Robetta.
Torniamo a casa non troppo tardi, decidiamo di uscire la sera e rimandiamo l’omelette a domani, stasera hamburger. La voglia è rimasta dalla settimana scorsa, quando il paninaro era chiuso.
Dopocena la destinazione è Rue Oberkampf, c’è un concerto gratuito di jazz manouche, ma abbiamo scelto troppo bene. Bel posto, gran musica, fila per entrare. Ripieghiamo in Rue Saint Maur, in un caffè anonimo dove c’è una sgangherata jam session di blues. Bravi i suonatori, tremendo il cantante. Fortunatamente ci sono molti pezzi strumentali. E’ la sera, finalmente, del Beaujolais nouveau, il “Bojo”. Il nostro novello, un vino fresco, con pochi gradi, un’istituzione autunnale. Siamo tutti un po’ stanchi, non c’è molta comunicazione, ma la serata passa bene; è bello uscire e rientrare insieme, senza l’obbligo di separarsi dopo il caffè.

Sunday, November 27, 2005

Soixante et troisième jour

Venerdì mattina vado a timbrare la mia presenza al corso di economia. Quando finisce vado a bere un caffè con Yoko, la ragazza giapponese con cui dovrò fare un exposé tra due settimane. Si parla di modernità. “Perché un po’ come dice Augé” “Chi?”. “Oppure Giddens” “Eh ?”. Aiuto.
Bevuto che fu il caffè è fatte che furono le fotocopie del mio schema per l’exposé, me ne ritorno a casa e mangio non so cosa per non so quanto tempo. Qualcosa che ha a che fare con il formaggio credo. Il pomeriggio passa a rileggere un paio di dossier. Alle 16.20 inizia a nevicare, tutti quelli che abitano sotto il 30° parallelo si precipitano fuori al grido di “il neige”. Poi saltano come per catturare le farfalle “un flocon!”. Cosa che noi non potremmo fare con la lava dei vulcani della Réunion. Che mondo strano. Esattamente nella stessa città dove due anni fa sono morte centinaia di vecchi per il caldo estivo adesso nevica. Plutone o Marte sono più decisi in fatto di clima, a noi piace variare.
Alle 17.30 ho il seminario di Maffesoli sull’erotica sociale (!). Ritorno al foyer pregustando già la mia cenetta in boite. Apro e: Waterloo. Cetrioli a dadini con una salsa indefinita, prossima destinazione: bidone angolo destro. Pesce disgustoso (provenienza Luxembourg?) accompagnato da mosci fagiolini completamente fuori stagione, bidone in fondo a sinistra. Con Naima capitata in cucina e dotata della stessa cena disgustosa decidiamo una doverosa pasta all’unico formaggio (probabilmente lo stesso che ho mangiato a pranzo). Pare una cena da re, un piatto di pasta quasi scotta con del formaggio. Où va-t-on? Dopocena con Robert, un suo amico tedesco, Zakia e Naima andiamo in un caffè in rue de Bagnolet. Suona un gruppo stile psichedelia 70. Buona la birra, buona la musica. I caffè di Parigi hanno caratteristiche acustiche curiose. Da fuori non sentite niente, dentro 4000 decibel per centimetro quadro. Rientriamo, ciao, ciao, a domani.

Saturday, November 26, 2005

Soixante et unième-deuxième jour

Mercoledì mi sveglio preparando il mio kit di sopravvivenza “corsi in tutta Parigi”. Dovrò rimbalzare tra EHESS Sorbonne e Institut de France: zaino leggero, fogli, penna. Il primo corso è il seminario di semiotica: analisi del rapporto testo-immagine nelle opere che rappresentano la vita di S.Francesco (Giotto, S.Bonaventura ..). Il secondo corso è in fondo a Boulevard Saint Michel, scendo vicino alla Senna e cammino in un’aria di gelo. Non si arriva più a questo seminario di Fontanille. E comunque è tutto inutile, lui non è là. Tempo sprecato, Ritorno verso la Sorbonne con una ragazza che studia teatro e segue la semiotica. In Francia ormai si pensa che a livello teorico si è fatto tutto, basta applicare ora. Una scienza morta in pratica. Mi fermo alla Sorbonne un po’ disorientato, pensavo a una giornata piena e invece eccomi qua demunito di libri e idee. La biblioteca è piena, il sole c’è e il freddo pure. Sono in Place de la Sorbonne senza una meta. Mi guardo intorno, la vittima preferita dei cacciatori di sondaggi. E infatti “Posso disturbarti? Stiamo facendo un’inchiesta…” Ma si, cosa mi cambia. Finisco in una cabina a simulare un gioco cooperativo con altri quattro esemplari umani. E mi guadagno un buono per un caffé a Dozen Bar. Poi entro in libreria, compro una collezione di Boris Vian, vado da Gibert Jaune, cerco libri in inglese con scarsa riuscita. Allora giro a destra, verso il Luxembourg. Mi siedo un po’ a leggere Le Monde finché i primi evidenti segni di ipotermia non mi consigliano di alzarmi. Vado a vedere quel bel negozio di teiere in rue de l’Odeon, risalgo alla Sorbonne, entro nella libreria Vrin. Vago. Il terzo corso è alle 5, mancano venti minuti. Mi avvicino all’anfiteatro e leggo un po’. Alle 5 entriamo. Arriva una ragazza che non è la prof. “Madame Brunetiére elle n’est pas là aujourd’hui”. Non è possibile. Una giornata strapiena si fonde in una tiepida apatia senza scopo. Torno al foyer, ceno e la sera non ho nemmeno voglia di andare alla Cinémathéque.

Giovedì mattina ho un corso di un tal Alain Touraine all’EHESS. Il buonuomo ha 80 anni, ma risponde a ogni tipo di domanda, vuole interventi, vuole collaborazione, non è qui per declamare teorie. Del corso parlerò più avanti, quando entreremo nel dettaglio. Per ora mi limito a riciclare un consiglio: formatevi come intellettuali, fuori dalle divisioni socio|filo|semio| “Vent’anni fa io e Barthes avevamo organizzato un seminario sotto la direzione di LeGoff (Touraine, Barthes, LeGoff : la santa trinità n.d.r.) e ai giornalisti che ci chiedevano che definizione davamo di noi stessi abbiamo detto “intellettuali” cosa che non ripeteremmo oggi”. Rientro con lo spirito risanato, e senza bisogno di arrivare a Compostela. Il resto del giorno resto a studiare, con mille domande su cosa fare di quel gomitolo di possibilità che si ha in dotazione a vent’anni.

Thursday, November 24, 2005

Soixantième jour

Martedì di lavoro. Corsi dalle 9 alle 19.30 (pausa 13-15). Alle 11 c’è un nuovo prof: Cicchelli. Origini italiane. Immaginatevi Banfi che parla francese, uguale. Ci rende partecipi del fatto che lui è un appassionato di manga “Sciacùn se passiòn, he he, sciacùn se passiòn”. Veramente esilarante. Poi fa una lezione su Tocqueville, interessante. Io credo sia in Francia solo per un corso, una visita, e invece no: è qui dalla maturità. Incredibile. La sera, dopo che Sonia ha passato il suo exposé si cena da lei: aglio olio e peperoncino. C’è anche un amico torinese di Lisa -coinquilina-, che si laurea qui in diritto. A cena e più tardi tornando in metro parliamo del sistema francese. Riassunto: l’elemento centrale sono le Grands Ecole (Ens, Ena, SciencePo …). Ora: come si entra a un’ Ecole? Tramite concorso. E la maggior parte della gente per fare il concorso deve fare uno o due anni in “class prepa”, una sorta di secondo liceo dove si lavora venticinque ore al giorno senza pause. Conseguenze: ai primi anni di università ci sono solo quelli che non tentano la class prepa, diciamo “i meno bravi”. Al terzo anno arrivano quelli della class prepa che non hanno passato il concorso e scelgono un ripiego. Nel frattempo il livello generale si è già abbassato. Ovviamente anche i prof. migliori sono alle Ecoles, e alcuni alla Sorbonne. Risultato: ogni volta che si crea un’elite lo strato inferiore viene spinto più in basso. Con la riforma LMD (3+2) le cose non sono migliorate. Gli esami si possono sostenere solo due volte, ma solo se il primo non è passato. Non si possono rifiutare voti, molti esami sono fatti con “controllo continuo”, come al liceo. Un altro elemento è importante: Tutto è a Parigi. Se ci abitate, o venite ad abitarci, tutto ok, potete cambiare corso e seguire seminari esterni senza problemi. Sa abitate in provincia o in altre zone della Francia diventa più complicato. Insomma se volete venire a studiare in Francia fatelo per un’Ecole, per la ricerca o per Parigi, non per i corsi universitari di base. Fortunatamente in erasmus possiamo infilarci in ogni corso senza problemi. Su questo sono molto democratici.

Wednesday, November 23, 2005

Cinquante et neuvième jour

Lunedì comincia con il solito corso di “postmodernità e i suoi derivati”. Il concetto chiave di oggi è che siamo passati da un mondo di individui a un mondo di persone. L’individuo resta a livello fisico chimico, a livello psico-socio-comportamentale ognuno è più persone. Per dire che posso essere da un lato un razzista omofobico col feticcio dei diserbanti e poi comprare tutti giorni fiori dall’arabo omosessuale all’angolo. Semplice no?
A seguito una carbonara a casa di Sonia con presentazione del suo exposé su Moro. Pasta e brigate rosse: le due anime dell’Italia (ci starebbe un libro). Ritornando a casa compro un bollitore elettrico per potermi fare il tè quando-mi-va-in-camera-mia e passo a prenotare un ostello per natale (purtroppo al foyer non posso ospitare estranei, nemmeno copine). Il mio ragionamento è stato: abito a venti minuti da qui, è stupido prenotare via internet. No. Arrivo là, parlo con l’addetta. Se pago con carta di credito pago tutto il periodo, non solo la prima notte come via internet. “Allora pago in contanti”. Ok, 26 euro. Ne ho 20. “Vado a ritirarli” Ok, poi però devi farteli cambiare e portarmeli giusti, non posso dare il resto. “Eh?”. Sono due casse separate. … Facciamo così: vado a casa e vi mando la prenotazione via internet. Ok. Meglio.
Vado in effetti a casa, invio, faccio una doccia, studio, ceno, chiacchiere in camera. Titoli di coda.

Cinquante et huitième jour

Sono rimasto indietro, tra poco dovrò psicanalizzarmi per ricordare cosa ho fatto. Allora, domenica. La mattina è calma e produttiva, in sala studio. Spaghetti al sugo in una cucina sempre più affollata. Bisogna sapere che: se si lasciano pentole, piatti, posate sporche al lunedì queste vengono lavate e in casi estremi requisite. Ora questa situazione si è presentata una settimana fa, tant’è che oggi si fa la fila per accaparrarsi gli oggetti rimasti. Tipo “prenoto il tuo piatto” o “lascia l’acqua a bollire che butto la mia pasta”. Di questa retata igienica era caduta vittima anche la mia innocente moka, che qualcuno aveva lasciato nel lavabo dopo averla rubata dall’armadio per farsi -non so con quale expertise- un caffè. Scoprendo il misfatto mi reco all’accueil con questo argomento dialettico:
“La mia moka.”
“Requisita”
“No.”
“Si”
E qui parte il “De moka, atto primo:
“ 1- Innanzitutto una moka non è mai sporca, quindi mai dovrebbe essere requisita. Una moka pulita è una moka nuova. Una moka nuova fa caffè cattivo. In più non sono io ad averla lasciata fuori, ma altri. Vuole che oltre a un furto subisca anche la requisizione dell’oggetto sottratto?”

E l’elemento titanico che ci ritroviamo come “segretaria” di giorno, risponde, senza voltare lo sguardo dal computer:
“Requisita”.

Mezz’ora dopo torno a chiederla al direttore: “La mia moka” “Aspetta che te la prendo”. Tanta fatica…

Eravamo comunque a domenica

Dopopranzo Johannes mi convince ad andare al Louvre per fare la carta annuale a 15 euro. Andiamo, aspettiamo invano l’autobus poi prendiamo la metro. Venti minuti di fila al guichet e abbiamo la nostra carta. In che sezione andiamo? “Fiamminghi fiamminghi” dico io. “Ok” dicono loro. Con noi c’è anche Zakia, del Madagascar, Musulmana. Questo dato è importante perché io finisco per nell’ordine: spiegare i quadri, gli autori, lo spirito dell’epoca, ma soprattutto improvvisare lezioni di teologia su “chi è questo -santo- chi è quello, perché quel simbolo”. Fino a domande ben più ardite come “Perché Gesù non aveva moglie?” -Perché la religione è misogina.- “Quali sono le differenze tra Protestanti e Cattolici?” -chiedi a Johannes, ha la doppia virtù di essere protestante e avere la stessa nazionalità del papa cattolico- “Perché non siete praticanti?”. Tutto questo in francese. Finalmente il Louvre inizia a chiudere, noi ce ne torniamo a casa, ceniamo, beviamo una birra con altri del foyer e ci addormentiamo pieni di ricordi fiamminghi.

Monday, November 21, 2005

Cinquante et septième jour

Sabato finalmente in forma. Alle 10 incontro Naima e andiamo dall’Alsaziano del mercato, compriamo un croissant, un pane con del muesli e dei biscotti con un’ottima apparenza. Buoni croissant e pane, i biscotti si rivelano delle pietre camuffate da biscotti. Immangiabili. Usciamo in una mattinata gelida benché azzurra. Museo Jacquemart André dove, dopo settimane a parlare della politica italiana, prendo la mia rivincita con il Rinascimento. E mica artisti da niente: Paolo Uccello, Mantegna, Botticini, Botticelli. Restiamo due ore senza accorgercene. Poi lei deve comprare un cappotto e dei guanti, dove se non alle Galeries La Fayette? E’ la risposta insieme più immediata e meno sensata tra tutte. Dovete sapere che entrando in un grande magazzino divento sempre un po’ marxista. Da una parte critico il capitalismo sfrenato dall’altra entro a farne parte e marcio come un alienato tra schiere di acquirenti unidimensionali. E’ la follia. Una sorta di discarica del lusso, con mucchi di vestiti, scarpe, luci e musica. Puntano alla bulimia da acquisto come risultato dell’overdose. Ora immaginatevi la scena. Io non ho mai comprato un cappotto da donna, lei viene dalla Reunion, secondo voi quanti cappotti per l’inverno (cosa?) ha scelto in vita sua? Ne prova un paio poi cede all’evidenza, non è il posto adatto, troppa scelta è peggio che niente in certi casi. Già che ci siamo andiamo a Les halles dove, vista l’ora decidiamo di mangiare prima di tutto. Sarà tutto, entrambi ne abbiamo abbastanza di acquisti -non conclusi per giunta-. Rientriamo al foyer ubriachi di stanchezza. Io leggo e sonnecchio un po’, la cena sarà un tè con un flan alla frutta, essendo il pranzo stato alle 15. Dopocena si esce e si ritorna al cafè in rue Saint Sebastien. La musica è decisamente peggio, il cous cous lo assaggiamo appena, poi arriva l’orda spagnola di amici di Adriana, galvanizzati dalla vittoria del Barça 3-1 contro Madrid. La serata non mi entusiasma, alle 11 sono rientrato e ho la malsana idea di guardare “Salò” di Pasolini. Ho la nausea per due ore, poi fatico ad addormentarmi. Un film sadico, negli intenti e nel risultato. Da non rivedere.

Saturday, November 19, 2005

Cinquante et sixième jour

Ne ho veramente abbastanza e decido di svegliarmi senza più raffreddore né mal di gola. Funziona. Schopenhauer sarebbe fiero di me. Al mattino resto comunque a casa, giornata bellissima, ma gran freddo. Cielo congelato, blu senza una nuvola.
Alle 14.30 dopo piatto di spaghetti und tomato vado alla cinémathéque. Ne ho troppa voglia e non è un’occupazione pericolosa.
Sciarpa, giacca imbottita e berretta, sembro più l’affiliato di una cosca che un malato.
Il film è “partie de campagne” che pare proprio un capolavoro di Renoir, sono alla terza replica è c’è tanta gente come il primo giorno. La proiezione è prevista alle 14.30, ai 40 iniziamo a entrare. Alle 15 iniziano le proteste e io mi do al dialogo per frasi fatte con la mia vicina (tipo “dura più l’attesa del film” o “Se continua così arriviamo a sera” o ancora più ardito “ma non ci dicono nemmeno nulla”). Questa cosa di non avere “ragioni” per spiegare dà veramente sui nervi ai francesi, mentre da noi è la prassi.
Arriva un ragazzetto con badge della Ciné e ci chiede di scusarli, ma il film comincia in 5 minuti. “La raison du rétard?” si invoca. Abbiamo dovuto cambiare sala, ci impegniamo perché non succeda più. Il film dura cinquanta minuti ed è il grado zero della commedia. Da una novella di Maupassant: una famiglia di Parigi va in campagna. Moglie marito figlia futuro marito. Moglie e Figlia vengono abbordate da due giovanotti che le portano in barca mentre Figlio e Genero pescano e le salutano dalla riva. Figlia e Giovine tornati a riva si avvicinano e lui la forza un po’ a baciarlo. Salto temporale. Tre anni dopo la figlia è sposata con il predestinato, torna sul luogo, ritrova il giovine, si dicono “ci penso sempre”, lei fa qualche lacrima e se ne vanno. Fine. A meno che il paracetamolo non mi abbia fatto addormentare e perdere qualche scena è tutto qui. Volendo tutto il film sembra un quadro del padre.
Rientro al foyer e la sera ho una festa a cui mi ha invitato Aurora, a casa di Andromeda, una gallese che si occupa di moda. Si mangia formaggio e si beve vino. Scambio qualche parola un po’ con tutti. Un argomento ricorrente è quello di una chiesa di non so bene che origine (setta religiosa-gruppo mistico-soul sharing ?). Ma almeno in due mi chiedono “Vieni anche tu alla -non in- chiesa” Eh no, peccato, ma magari più avanti… Parlo quasi più inglese che francese, anche con Aurora, che preferisce.
Rientriamo, incontro Naima, beviamo un tè e ci diamo appuntamento per il giorno dopo per comprare qualcosa al mercato e fare colazione insieme, a seguire si prospetta museo

Thursday, November 17, 2005

Grippe

L’influenza più costosa della storia. Che poi non si degna nemmeno di essere un’influenza seria, di quelle che ti costringono a letto. Ho appena comprato il kit base del malato di stagione: confezione da 24 pacchetti di fazzoletti in superofferta, tè aromatizzato arancia e barattolo da mezzo chilo di miele d’acacia, costosissimo termometro elettronico manico flessibile (?), spaghetti, pomodori e cipolla perché comunque devo campare.
Ieri sono stato in casa tutto il giorno, ho studiato, cucinato, scritto un po’ di dossier. Alle 14 esatte un raffreddore paralizzante mi impedisci ogni comunicazione sensata con il mondo esterno. Parlo poco e sento male. Alle 20.30 così com’ è arrivato se ne va.
Prendo l’influenza a tappe: un giorno il mal di gola, un giorno il raffreddore, oggi la stanchezza. Niente febbre per ora. E’ bello osservarsi dall’esterno e vedere le betises che si fanno. Tipo martedì a Saint Peres attraverso la strada per andare in posta. Sciarpa e berretta comprate in Islanda, modello 007 missione Siberia, giacca imbottita e occhio lucido. Entro in posta e per evitare ogni comunicazione scelgo la macchinetta automatica. Peso la mia busta, “stampa il francobollo?”. Si, grazie. “Prendi attacca e spedisci” mi dice una scritta molto gentile, una signorina bionda penso. In un attimo la lettera è nella buchetta, il francobollo nella mia mano destra. Ho saltato il dettaglio “attacca”. Impreco, inizio ad avere caldo, mi levo la giacca. Mi deploro e vado a parlare con l’uomo fisico al guichet. Mi spiego e lui gentilissimo recupera la mia lettera e attacca il francobollo.
Uscendo lascio le monete all’uomo che passa tutta la giornata a fare da usciere alla Posta.
E oggi il termometro l’ho comprato al supermercato. In farmacia c’è un’arpia che due giorni fa insieme allo spray per il mal di gola voleva darmi anche una fornitura famiglia di pillole. No, no -dico io- basta lo spray. “Comme vous voulez monsieur” dice lei con un tono da profezia catastrofica. Se oggi vado a chiederle un termometro se commenta devo ucciderla, e anche se tace avrà comunque la sua vittoria. Quello che mi manca è proprio una morale sul genere “l’avevo detto io”, cosa che si concede alle mamme, non a una stizzosa farmacista dai capelli arruffati.

Per finire vi regalo un’immagine di Pazienza, per niente politically correct (come sempre), ma geniale come comicità e disegno (cliccare sull'immagine per vederlo).




Wednesday, November 16, 2005

cinquante et troisième \ quatrième jour

Lunedì il mal di gola è ufficiale. Fortunatamente non ho corsi al mattino. Resto a casa a studiare e compro uno spray adatto. Alle 18.30 alla Bnf c’è un incontro con 12 scrittori rumeni, ci vado con Aurora. In realtà questa sera ci mostrano soltanto un filmato di interviste. I più interessanti sono Agopian e Zografi, ironici e taglienti. Gli altri sono un po’ metafisici in generale. C’è addirittura qualcuno che dice che con il regime c’era più coesione tra gli scrittori, ora no. I poeti sono anticorpi sociali, per questo ce ne sono ancora pochi in Romania. Dopo il video c’è un buffet, mangiamo qualcosa e beviamo champagne. Aurora scambia qualche parola con Agopian, poi chiacchieriamo con un ragazzo rumeno che è qui in dottorato e torniamo a casa. Ho già mangiato abbastanza e la mia boite la regalo a uno spagnolo senza cibo, come sono caritatevole.

Martedì: oggi ho il mio exposé su Luther Blissett. Mi sveglio ammalato quanto basta, prendo pasticche per influenza e spray per la gola. Alle 9 ho un corso che non posso saltare. Ci vado come uno zombie in metro, arrivo e mi rendo conto di aver dimenticato le fotocopie che dovevo portare al prof. Poco male, le farò io per tutta la classe (sei persone) non torno certo a prenderle. Si parla di Ulrich Beck e riesco persino a fare qualche intervento, mi sento un po’ meglio. Alle 11 torno a casa e mi dedico alla dolce vita del malato, sdraiato a letto a leggere e bere tè bollente. Non si può abolire l’influenza, è così piacevole lasciarsi andare alla mollezza di qualche giorno di riposo.
L’exposé è alle 17, ci arrivo abbastanza in forma -piove pure-. Dovrebbe durare mezz’ora, ma finisce in quasi un’ora tra spiegazioni e commenti. I francesi non sapevano niente di Blissett, ho mostrato qualche immagine - e un pezzo di “la spada nella roccia!- per tenerli svegli. C’est bien passé.
20.30 avant-première di “Los tres entierros de Melquiades Estrada di Tommy Lee Jones. A Cannes Miglior Attore (Jones) eMiglior sceneggiatura (Arriaga). Mi sento meglio e ci vado. Cambio metro a Chatelet. Nel passaggio ci sono due ragazzi con sax e contrabbasso. Lui inizia a suonare Leap Forg di Charlie Parker in una maniera sorprendente. Dono un euro e resto ad ascoltare. La fa più veloce addirittura, accelera, sale e scende come una spider fuori controllo. E’ piccolo e viene spinto indietro dalla forza con cui soffia, una cosa mai vista. Lascio un biglietto “Si vous jouez quelque part à Paris envoye moi un message” con la mia mail. Spero mi scrivano, non è possibile che due così suonino solo nel metro.
Arrivo a bocca aperta al Centre Pompidou. La sala è bella, il film pure, violento e crudo a volte, ma ambientato sulla frontiera tra Messico e Texas. La migra è padrona del luogo, il Texas è la vera America, non quella di Woddy Allen. Echi di John Ford a ogni inquadratura.

Tuesday, November 15, 2005

cinquante et unième/deuxième jour

Un sabato che ha tutto l’aspetto della domenica, preceduto com’è da un venerdì di festa. Inizia a fare freddo, di quello serio, con un vento che taglia gli spigoli. Da tempo voglio andare a una mostra su Basquiat e Picasso, al museo Mailliol e capita che Naima abbia la stessa idea. Ci troviamo alle 10, andiamo a comprare un paio di dolci con i semi di papavero da un tizio molto tedesco che vende specialità dell’Alsazia. Caffè italiano e siamo pronti. Anche se il cielo ha una varietà di colori tra il grigio chiaro, grigio scuro e grigio grigio c’è comunque una grande luminosità. Oggi è il giorno in cui secondo i giornali -soprattutto italiani- la polizia presidia il centro e vieta gli assembramenti perché c’è il rischio di proteste violente. Se c’è la polizia è molto discreta, non la si nota. Le violenze nemmeno. In compenso a ogni negozio “Nicolas” che vedo mi viene in mente Sarkozy, che se ogni tanto si facesse un buon bicchiere di Bordeaux sarebbe più in pace con il mondo. Sempre in tema di banlieus, questa rivolta non è una rivoluzione. Chi protesta non sogna un cambiamento di valori, una sconfitta del capitalismo, una nuova società, no. Sogna di poter consumare come gli altri, di integrarsi, di diventare banale, ordinario, alla moda, non originale, standard.
Revenons alla mostra. Piccolo museo, interessante l’esposizione. Monsieur Malliol è uno di quegli sconosciuti che però era amico di tutti quelli che contavano -vedi Matisse, Degas etc- e ha collezionato una buona serie di disegni e quadri completi. C’è uno “studio per un papa” di Bacon veramente inquietante: viola su sfondo nero. Basquiat è geniale, da’ questo senso di non finito, di possibilità continua di accumulo e di estrema violenza nella pittura. C’è tanto del corpo, poco della mente, le opere sono tirate in faccia allo spettatore, accontentato nel suo desiderio più banale: trovare l’autore nel quadro. Due scoperte degne di nota sono Camille Bombois che ricorda un po’ Botero per le forme femminili e i colori luminosi, e Zoran Music, per quanto mi riguarda il primo ebreo deportato che dipinga il tema dei campi di concentramento. Sfondi grigi, visi deformati, un’angoscia profonda.
Ce ne usciamo alle due e andiamo a mangiare nel quartiere latino, panino, crepe e lattina in un economico caffè libanese. Un’altra ora e qualche euro li spendiamo da Gibert Joseph, dove Naima compra un capitale di opere per Science Po. e io il Premio Goncourt “Trois jours chez ma mère” di Weyergans e un libello di Delerme.
Al pomeriggio è ora di lavorare un po’, e la sera c’è Francia Germania in Tv. Qualcuno parte di buon ora per andarla a vedere in un bar qui vicino, io arrivo un po’ in ritardo e parto in anticipo perché il match è veramente “nul”. Solo il giorno dopo scoprirò che anche l’Italia ha giocato, pare un’ottima partita. Ma in fondo on s’en fiche.

Domenica culinaria. Si studia e lavora da mattina a sera, ma in compenso le pause pranzo sono consistenti. Pranzo sponsorizzato dall’ Ile de la Reunion, curry al pollo degno di nota. Si finisce alle 15.30. Cena dal titolo “casa Italia”, carbonara militante da esportazione, abbondante in uovo e parmigiano, bottiglia di vino illegale acquistata à côte e cena in camera mia con fondo musica lirica -che non interessa a nessuno, ma fa molto cultivé-. Diego (nel ruolo de: Il compagno di stanza) rientra alle 21.15, proprio quando finiamo e siamo pronti a trasferirci da Naima per vedere “Some like it hot” di Wilder, con Marylin Monroe, Ian Curtis e Jack Lemmon (il mio preferito). Scusate se è poco. Finito il film ho un po’ di mal di gola, bevo un tè e vado a giacere.

Sunday, November 13, 2005

Post fotografico bonus



Camera in b\n, scrivania con muro vista dal letto.

cinquatième jour

Venerdì si festeggia la vittoria della Grande Guerra. On se moque des allemands toute la journée. Mi sveglio relativamente tardi, poi espio studiando tutto il giorno, breve pausa pranzo (invio il tedesco a comprare “del pomodoro” e torna con un barattolo di doppio concentrato). Il pomeriggio mi metto a scrivere questo dossier su Luther Blissett e le strategie di Sun Tsu, abbastanza divertente devo dire. Esco per fare una spesa lampo e compro i Cahiers de cinema, che finora, non so perché avevo dimenticato. Copertina su Cronenberg. La sera essendo festa non c'è la cena in Foyer, si decide per una volta di cenare fuori. Andiamo in un bar vicino a Bastille, in rue Saint Sebastien. Se si beve qualcosa il cous cous (più pollo, più verdure) è offerto. In più c'è musica live, “la djipe qui swingue” tra jazz swing e musica gitana. C'è una coppia ridicola che inscena qualcosa come una danza per l'accoppiamento di volatili tropicali. Usciti che fummo andiamo a Bastille, dove ci si saluta e gli abitanti del foyer rientrano.
Sto riducendo progressivamente le righe di racconto. Ho poco tempo e troppa fame.

Saturday, November 12, 2005

quarante et neuvième jour

Giovedì mi prendo una giornata di pausa dopo il tour de force di ieri. Alle 9.25 sono a vedere Caché all’ UGC de Les Halles. Sono solo, un’ esperienza. Altri tre arrivano all’ultimo a impedire un record. Il film è forte. Temi principali la guerra in Algeria come grande “rimosso” francese, il tentativo di nascondere il passato ai figli, il ruolo dei media. Inquadrature di registrazioni a tutto schermo. Quello che ci viene mostrato come “registrazione” è più o meno reale del film? Le vittime possono solo sacrificarsi, i carnefici fingere che non fosse colpa loro e spingerle a sparire. Notevole la differenza tra l’appartamento intellettuale di Parigi e il bâtiment HLM.
Poi già che sono qui mi concedo la mostra di DADA che rimandavo da un po’. Preferisco Big Bang, ma qui c’è tutto dalla letteratura ai ready made dadaisti. Troppe opere per una giornata sola, divido in due. Apprezzo soprattutto Grosz(foto industriebaue) e Duchamp. Alla boutique dell’esposizione si vendono ogni sorta di stranezza. Dada è davvero l’avanguardia che ha liberato tutte le altre e le ha annullate. Cosa si può fare più della libertà totale? Delle regole bisogna introdurle, altrimenti non si arriva mai a un limite artistico o privato. Il cielo è sempre più blu, dal Pompidou si spazia per chilometri. Niente fiamme che si levano.
Al pomeriggio se non sbaglio resto a studiare al foyer, tranquillo per l’assenza di persone. La sera invece è lo zoo vicino alla sala studio. La sera festeggiamo da me il diploma di Aurora, ufficialmente diventata stilista, seconda su una cinquantina nel suo corso.

Friday, November 11, 2005

quarante et septième/huitiéme jour

Martedì niente di che, sostituisco la cronica con considerazioni sulle Banlieu. Hanno reintrodotto il coprifuoco in certe zone, con una legge speciale che data della guerra d’Algeria. Ora, se voi siete un algerino, avete bruciato qualche macchina perché siete arrabbiati con il governo che non fa niente per voi (o perché è bello farlo e sentirsi parte di qualcosa) e il governo invece di dire “qualcosa è cambiato” riesuma una legge con la quale hanno avuto a che fare i vostri nonni, voi che fate? Messaggio politico pessimo: niente è cambiato in cinquanta anni, ancora gli stessi mezzi. Certo, bisogna calmare la questione, e in effetti ci sono stati già meno problemi, ma bastava un coprifuoco nei luoghi utili, non una legge di guerra. Tutti chiedono che Sarkozy se ne vada, ma non lo farà, questo sceriffo à la français è veramente inespugnabile.

Mercoledì è giornata campale. Finalmente dei corsi interessanti alla EHESS e un seminario di semiotica con Fontanille. Non vi racconto tutta la storia perché è davvero noioso, solo che ho avuto corsi dalla 11 alle 19, con una pausa pranzo a base di insalata preparata in casa seduto praticamente in un cantiere all’incrocio di bld. Saint Michel - scena da Ken Loach-. Al seminario di Fontanille faccio un intervento che lo smonta un po’, è sempre un piacere, e sì quando mi chiama Monsieur Vandi mi esalto un po’. Vana gloria.
La sera conferenza su Hanna Arendt, dove la cosa migliore è un documentario con una sua intervista in cui dice che gli USA non sono una nazione, e una bella frase sul pensiero: "Non esistono pensieri pericolosi, l'attività di pensare è in sè pericolosa. Ma non pensare affatto lo è ancora di più". Parla un inglese terribile, ma ha una forza di spirito impressionante, un carisma che si mangia la vecchiaia. Poi la conferenza che segue è biografica, inutile. Cena al foyer e serata di chiacchiere a seguire.

Thursday, November 10, 2005

quarante et sixième jour

Lunedì mattina il solito corso che inizia a essere un po’ ripetitivo. Poi tento l’ EHESS. C’è un corso Récits de fiction et processus cognitifs di un tale Florent Gaudez. Prima di entrare sono preso dal terrore sacro del luogo. Non vi racconto la storia dell’istituzione, cercatevela. Questa è un’ Ecole, l’eccellenza francese, non solo parigina. Il motivo per cui nemmeno la Sorbonne è così eccelsa è perchè ci sono queste. Capirete quindi lo stupore quando il tizio si presenta in capelli lunghi e fascia, pantaloni attillati di pelle e catena. Niente di grave, un eclettico è sempre gradito. Magari ci insegna a fare sociologia con l’hard rock. Invece no. Prendo due righe di appunti in due ore. Si perde tra citazioni a catena, ripetendo dieci volte « dove ero rimasto ? ». Davvero imbarazzante, ho voglia di scappare, ma non posso, siamo in dieci. Quando sente che studio semiotica a Bologna scambiamo due parole su Eco e Paolo Fabbri, con cui lui ha fatto la tesi. All’una è finito e torno a casa per pranzo, dove mi concedo alla fame e alla fretta: un ottimo hamburger comprato in rue Bagnolet. Il pomeriggio resto a studiare e la sera cena lampo prima di un anteprima alla Cinémathéque: Free Zone di Amos Gitai, in sua presenza. Dice che i suoi amici israeliani gli hanno detto che ha del coraggio a venire a Parigi adesso. La sala ride, ovviamente Israele non è il luogo più sicuro del mondo, ma qui la fama in questi giorni non è migliore. Il film è interessante più che bello. Si viaggia per la Giordania con una Nathalie Portman piacevole, ma inespressiva. Le altre due attrici sono invece molto brave. A livello di regia non amo tanto le sovrapposizioni in trasparenza, una o due passino, ma che non diventi uno strumento di poetica. Citazioni interessanti: parlano dei guerrieri beduini che per scontrarsi facevano sedere il campione di un gruppo sull’altro, a turno. Lei sentenzia: certo che se Sharon si sedesse su Abu Mazen e poi Abu Mazen su Sharon la situazione sarebbe migliore qui. La cosa più interessante sono i passaggi alle frontiere e lo sguardo sulle mutue sofferenze israeliane e palestinesi, senza troppa retorica. Il titolo Free Zone è preso da un luogo reale : "La 'free zone' esiste davvero - dice Gitai - nella parte est della Giordania, tra Iraq, Siria, Arabia Saudita; è una zona franca, non ci sono tasse, quindi uomini di origine diversa fluiscono qui per fare affari, come d esempio vendere e comprare una macchina. Mi interessava osservare come, a prescindere dalla politica, la gente si organizza per portare avanti a ogni costo la propria attività, la propria vita, nonostante il pericolo, gli attentati, i chek point e tutto il resto che passa ogni giorno sui telegiornali di tutto il mondo". Finito il film torno al foyer e bevo una birra con Johannes.
Altra notizia positiva del giorno: Le Monde ha scoperto le arti tipografiche e si è finalmente tolto di dosso quel grigiore e quella linearità che lo rendevano illeggibile. Ora va molto meglio, avrà più chances di farsi comprare. [scrittura automatica: post composto in tre minuti circa]

Wednesday, November 09, 2005

quarante et cinquième jour

Domenica pubblicata con qualche giorno di ritardo. Sono troppo stanco adesso per parlarvi della banlieu parigina, lo farò domani, anzi dopodomani (domani: Corsi Senza Interruzione Dalle 11 alle 21, non sopravvivrò). Intanto oggi me la prendo comoda, ho poca fame, mangio un’insalata, leggo un po’, mi distendo. Alle 14.30 ho un appuntamento: A bout de souffle di Godard. Questa volta arrivo 40 minuti prima e prendo il biglietto. Arrivando metto i pugni in tasca per ripararmi dal vento, mentre aspetto leggo Liberation. Mi sento molto nouvelle vague. Un po’ soixante-huitard
Scopro oggi che la Ciné e la Bnf sono a cinque minuti di distanza, dall’una si vede l’altra. A fine 2006 faranno anche un ponte pedonale come collegamento diretto. Avrebbero potuto intitolarmelo, ma chissà come hanno preferito la De Beauvoir.
Entro alla ciné e attendo. Attendo. Dieci minuti. Quindici. Iniziano le proteste: “vous êtes en rétard!”… “vous êtes souvent en rétard!”. Venti minuti e inizia.
Non serve che sia io a dirvi che è un capolavoro. Non credevo lo avrei amato così tanto. Mi ricorda un po’ Il sorpasso (“Torìno, Genòva, Roma”). Belmondo vi guarda mentre guida e dice "Si vous n'aimez pas la mer, si vous n'aimez pas la montagne, si vous n'aimez pas la ville... allez vous faire foutre". Non è la camera che lo inquadra frontalmente, parla proprio allo spettatore.
E tutto il film è una soggettiva, frenetica, jazz. Il film che interpreta meglio il ritmo parigino. Lui che si pulisce le scarpe con Le Figaro -siamo nel 1960- e si innamora di un’americana che vende l’Herald Tribune sugli Champs Elysée. Se no l’avete visto il faut le faire!
Finito il film attraverso il parc de Bercy e vado alla Bnf. C’è il sole e tanti bambini che giocano nel parco. Alla Bnf tutte le sale sono “saturée”. Come il centro per lo shopping, solo che qui si tratta di una biblioteca. Una bibliotecca -mix tra biblio e mecca-. E’ una moda venire qui il sabato e domenica a studiare. Impensabile per italiani, tedeschi, spagnoli. Non vuol dire che gli studenti francesi siano I migliori al mondo, ma. Quelle che vedete sono la tour des lettres e la tour de temps, ce ne sono altre due.
Mi siedo su una comodissima poltrona nel couloir che dà sul giardino. Ambiente tranquillo, sedia bassa in modo da poter appoggiare i libri per terra. Avevo previsto l’affluenza e ho portato il computer. Scrivo qualche riga di memoire per il pessimo corso di Economia della cultura. Ascolto musica e vedo la gente passare. Esco che è buio, torno al foyer.
La sera ceno con Solange e Naima con un chili della Reunion. Queste hanno il peperoncino più forte al mondo. Io ho provato a importarne dal mio fornitore di fiducia, ma la competizione è persa per manifesta inferiorità tecnica. La cucina alla domenica sera è la banlieu del foyer, senza polizia per giunta. L’OMS non abita qui. Dopocena una birra con Johannes: Europa, banlieu, università. Voilat.

Sunday, November 06, 2005

quarante et quatrième jour

Il sabato è sempre puntuale in fondo alla strada. Ti aspetta paziente, sa che non mancherai. La notte prima apparecchia una giornata liscia, piena di possibilità che qui si respirano con lo smog. Al mattino vado in piscina, poi a fare spesa con Robert e Johannes. Compro un pezzo di formaggio di cui non ricordo il nome, mezza baguette, un salamino, dell’insalata. Alle 15 nell’anfiteatro grande della Bnf c’è una conferenza su Ricoeur organizzata da France culture. La potrete ascoltare il 24 dicembre. Quattro personaggi, equamente divisi per sesso, si confrontano e intervengono. Ce n’è per tutti: filosofia, storia, diritto, morale. Non si può certo dire che quest’ uomo fosse ossessionato da un tema fisso e chiuso agli altri domini. E’ un pensatore che sta bene in ogni salsa e può essere estremamente intelligente se ne fate un buon uso. Una cosa che dispiace è che qualcuno senta l’esigenza di pescare nella biografia privata, come se 25 opere pubblicate e più di 60 anni di attività non bastassero.
Prima di tornarmene a casa prendo un tè sulla terrazza affacciata sul cortile interno. Forse perché mi piace tornando vado da Casino, un supermercato più serio di Leader Price, dove con lo stessa spesa di una settimana di viveri compro uno shampoo e un tè verde alla menta.
La sera con Naima e Johannes andiamo a Saint Germain a vedere Match point di Woody Allen. Il suo primo film girato a Londra e per la prima volta con musica lirica italiana invece del jazz riservato a New York. Restano le inquadrature, la camera che segue la gente che cammina da un lato, leggermente più avanzata per farci vedere cosa c’è dietro l’angolo. Allen non c’è, ma il film è davvero grande, senza dubbio. Così diverso dai suoi in cui la crudeltà restava sotto la commedia. Qui siamo in piena Jane Austen, i fondamenti economici della società sezionati da un analista spietato. La cura degli ambienti è come sempre maniacale, siamo nell’alta borghesia. Ricorda un po’ l’Altman di Gosford Park e fa pensare a un regista fisicamente molto più imponente di Allen, un regista -appunto- da musica lirica, non da clarinetto. Il film verso la fine è la traduzione praticamente esatta di un libro: X di X. Non ve lo dico perché se lo avreste capito comunque vi tolgo il gusto. Comunque all’inizio c’è un indizio. E’ veramente gratificante scoprirlo, e raccontarlo agli amici: avete letto …?? E’ la citazione precisa! Davvero? Comunque è un classico, non un operetta minore non preoccupatevi -oppure si se non lo capite-.
Torniamo a casa e approfittiamo del mio tè alla menta chiaccherando in camera mia, ormai appuntamento fisso.

Saturday, November 05, 2005

quarante et deuxième/troisième jour

Permettetemi di riassumere la mia prima giornata di ritorno. Arrivo la mattina alle 9.30 con il treno della speranza Roma-Bercy, passo il resto della giornata a leggere steso sul letto, la sera esco per una birra. Effervescente!

Venerdi’ riprendo i corsi e finalmente vado alla BnF, la Bibliothéque nationale de France voluta, ideata, costruita -si fa per dire- da Mitterand. Sempre lui che ha reso il Louvre il Grand Louvre, e ha dato l’ordine di affondare la rainbow di GreenPeace. Questi comunisti. L’ispirazione è la biblioteca di Babele di Borges: quattro torri piene di libri e 300.000 volumi nelle sale di lettura. Si deve fare un abbonamento annuale da 18 euro, con i quali non si paga nemmeno una gamba delle bellissime sedie di legno. L’accesso è consentito solo côte jardin: in pratica la biblioteca è un parallelepipedo aperto al centro con sale sui lati e un giardino-bosco interno, lo vedete camminando per i corridoi vetrati. C’è poca gente. Subito la biblioteca del Centre Pompidou passa in secondo piano, troppo luminosa e confusionaria. Qui viene voglia di nascondersi sotto i tavoli prima dell’orario di chiusura. L’aria è pulita, la gente parla a voce bassa o ancora meglio tace. Mi divoro “The moon is down” di Steinbeck, in una bella edizione della Library of America. Cerco di evitare l’autocompiacimento, ma mi piace davvero essere qui, anni luce dalla banalità. Il racconto è un film, con i tagli tipici di Hollywood e la stessa cura della luce, dialoghi costruiti ad arte e salti temporali ad ogni capitolo. Finale ancor più cinematografico, un po’ Socrate, un po’ Sacco e Vanzetti. The debt shall be paid. Prima di tornare chez moi bevo un tea al Café de l’est. Tre nuvole sono appoggiate sulla torre ovest, bianche e nette, senza problemi.
La sera poi andiamo al centro di cultura Ceco sotto doppia promessa di jazz e birra ceca. Non veniamo delusi, solo la cantina è un po’ fredda, per niente fumosa, un po’ artificiale. “Troppo pulita” è la diagnosi con Robert. Uscendo ci incantiamo davanti alla vetrina di un negozio di Matrioske in rue Bonaparte, a fianco di una pasticceria Ladurée, sfortunatamente chiusa.
Nessuno è stanco, il mio compagno di stanza non c’è e si sale da me, offro cioccolato e acqua, Robert ha una bottiglia di vino da 0,5 che viene divisa in sei. Alcolisti Anodini. Si inizia a parlare di tutto: Francia Italia Germania Europa. Banlieu, Cofferati (!).
Le Banlieu, viste dall’Italia pare che questi stiano dando fuoco all’arco di trionfo. In realtà è molto fuori Parigi, una cosa che cova da tempo e che ora è dura fermare, un ’68 dei poveracci. Certo che Sarkozy (foto) stia da mesi stringendo i controlli, messo polizia ovunque, parlato di ciarpame da ripulire non aiuta. Questo omuncolo di un metro e quaranta è veramente preoccupante nelle sue aspirazioni fasciste. Fa l’uomo di potere di una paese immaginario. Loi et ordre non suona bene. La sinistra è in crisi, a destra ci sono 3 candidati, uno è Chirac, l’altro un nobile, il terzo Sarkò che ha iniziato campagna elettorale da un anno. In città si continua a vivere tranquillamente, tra due anni ci saranno altri due o trecento studi sulla banlieu, qualche miliardo speso in ricerca, delle opere di riqualificazione. C’è di buono che i problemi non si ignorano, ci si convive, ma prima o poi qualcosa si fa. La prossima volta che il Tg enfatizza la cosa provate a pensare al reportage di una troupe straniera a Napoli…
Prima di addormentarmi ripasso Ricoeur, domani c’è una conferenza alla Bnf.

Thursday, November 03, 2005

italiadi

La top five delle domande che vi fanno quando tornate da un mese e mezzo a Parigi.
1- Dai, di qualcosa in francese
2- Ma fai lezione in francese?
3- E’ poi così bella Parigi?
4- E’ vero che i parigini sono antipatici/i francesi odiano gli italiani
5- Compri le baguette?

Le risposte:

1- -----
2- No, in bulgaro
3- Alla fine è veramente una piccola Bari
4- I parigini sono un’entità incorporea, esistono, sono dieci e stanno nascosti/ Entrate al Louvre, se c’è qualcuno che parla a voce alta e non controlla i figli che lingua parla?
5- Cos’è?

Sempre in tema di numeri. Le nove piccole differenze Parigi-Rimini

1- dover prendere la macchina per andare ovunque
2- non poter camminare per strada
3- fare “la spesa”, mai “comprare qualcosa”
4- vita culturale piatta
5- La musica dal vivo?
6- la gente cammina per strada e ti guarda come se dovesse dimostrare qualcosa, c’è un vuoto mascherato da aggressività
7- Pochi sanno cosa ci sia oltre le mura
8- I posti in cui ci si può divertire o chiaccherare sono hot spots, non la norma
9- Mi sento pigro, faccio la metà delle cose in molto più tempo, mi trascino in giro.

A Bologna già va meglio. Se abitate in centro potete trovare un buon numero di cinema, biblioteche, rari musei, ma molti studenti, gente che cammina e l’essenza della bolognesità nei mercati del quadrilatero. Qui si produce cibo che non potrebbe essere consumato in due anni da una popolazione doppia. Ma il problema è la scarsità, mai l’abbondanza dice lo spirito contadino. Diciamo che qui la pasta fresca ha il ruolo del cioccolato nelle vetrine di parigi: gioiellerie commestibili. Però gli autobus sono pochi, molte zone buie, la stazione pericolosa. Se ci si sentisse più tranquilli si sopporterebbe meglio anche il clima ingrato. Fortuna che ci sono i portici, passages a metà.