Paris is a moveable feast ("Festa mobile" Hemingway). Blog su un erasmus a Parigi.

Tuesday, November 15, 2005

cinquante et unième/deuxième jour

Un sabato che ha tutto l’aspetto della domenica, preceduto com’è da un venerdì di festa. Inizia a fare freddo, di quello serio, con un vento che taglia gli spigoli. Da tempo voglio andare a una mostra su Basquiat e Picasso, al museo Mailliol e capita che Naima abbia la stessa idea. Ci troviamo alle 10, andiamo a comprare un paio di dolci con i semi di papavero da un tizio molto tedesco che vende specialità dell’Alsazia. Caffè italiano e siamo pronti. Anche se il cielo ha una varietà di colori tra il grigio chiaro, grigio scuro e grigio grigio c’è comunque una grande luminosità. Oggi è il giorno in cui secondo i giornali -soprattutto italiani- la polizia presidia il centro e vieta gli assembramenti perché c’è il rischio di proteste violente. Se c’è la polizia è molto discreta, non la si nota. Le violenze nemmeno. In compenso a ogni negozio “Nicolas” che vedo mi viene in mente Sarkozy, che se ogni tanto si facesse un buon bicchiere di Bordeaux sarebbe più in pace con il mondo. Sempre in tema di banlieus, questa rivolta non è una rivoluzione. Chi protesta non sogna un cambiamento di valori, una sconfitta del capitalismo, una nuova società, no. Sogna di poter consumare come gli altri, di integrarsi, di diventare banale, ordinario, alla moda, non originale, standard.
Revenons alla mostra. Piccolo museo, interessante l’esposizione. Monsieur Malliol è uno di quegli sconosciuti che però era amico di tutti quelli che contavano -vedi Matisse, Degas etc- e ha collezionato una buona serie di disegni e quadri completi. C’è uno “studio per un papa” di Bacon veramente inquietante: viola su sfondo nero. Basquiat è geniale, da’ questo senso di non finito, di possibilità continua di accumulo e di estrema violenza nella pittura. C’è tanto del corpo, poco della mente, le opere sono tirate in faccia allo spettatore, accontentato nel suo desiderio più banale: trovare l’autore nel quadro. Due scoperte degne di nota sono Camille Bombois che ricorda un po’ Botero per le forme femminili e i colori luminosi, e Zoran Music, per quanto mi riguarda il primo ebreo deportato che dipinga il tema dei campi di concentramento. Sfondi grigi, visi deformati, un’angoscia profonda.
Ce ne usciamo alle due e andiamo a mangiare nel quartiere latino, panino, crepe e lattina in un economico caffè libanese. Un’altra ora e qualche euro li spendiamo da Gibert Joseph, dove Naima compra un capitale di opere per Science Po. e io il Premio Goncourt “Trois jours chez ma mère” di Weyergans e un libello di Delerme.
Al pomeriggio è ora di lavorare un po’, e la sera c’è Francia Germania in Tv. Qualcuno parte di buon ora per andarla a vedere in un bar qui vicino, io arrivo un po’ in ritardo e parto in anticipo perché il match è veramente “nul”. Solo il giorno dopo scoprirò che anche l’Italia ha giocato, pare un’ottima partita. Ma in fondo on s’en fiche.

Domenica culinaria. Si studia e lavora da mattina a sera, ma in compenso le pause pranzo sono consistenti. Pranzo sponsorizzato dall’ Ile de la Reunion, curry al pollo degno di nota. Si finisce alle 15.30. Cena dal titolo “casa Italia”, carbonara militante da esportazione, abbondante in uovo e parmigiano, bottiglia di vino illegale acquistata à côte e cena in camera mia con fondo musica lirica -che non interessa a nessuno, ma fa molto cultivé-. Diego (nel ruolo de: Il compagno di stanza) rientra alle 21.15, proprio quando finiamo e siamo pronti a trasferirci da Naima per vedere “Some like it hot” di Wilder, con Marylin Monroe, Ian Curtis e Jack Lemmon (il mio preferito). Scusate se è poco. Finito il film ho un po’ di mal di gola, bevo un tè e vado a giacere.

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