Paris is a moveable feast ("Festa mobile" Hemingway). Blog su un erasmus a Parigi.

Thursday, November 10, 2005

quarante et sixième jour

Lunedì mattina il solito corso che inizia a essere un po’ ripetitivo. Poi tento l’ EHESS. C’è un corso Récits de fiction et processus cognitifs di un tale Florent Gaudez. Prima di entrare sono preso dal terrore sacro del luogo. Non vi racconto la storia dell’istituzione, cercatevela. Questa è un’ Ecole, l’eccellenza francese, non solo parigina. Il motivo per cui nemmeno la Sorbonne è così eccelsa è perchè ci sono queste. Capirete quindi lo stupore quando il tizio si presenta in capelli lunghi e fascia, pantaloni attillati di pelle e catena. Niente di grave, un eclettico è sempre gradito. Magari ci insegna a fare sociologia con l’hard rock. Invece no. Prendo due righe di appunti in due ore. Si perde tra citazioni a catena, ripetendo dieci volte « dove ero rimasto ? ». Davvero imbarazzante, ho voglia di scappare, ma non posso, siamo in dieci. Quando sente che studio semiotica a Bologna scambiamo due parole su Eco e Paolo Fabbri, con cui lui ha fatto la tesi. All’una è finito e torno a casa per pranzo, dove mi concedo alla fame e alla fretta: un ottimo hamburger comprato in rue Bagnolet. Il pomeriggio resto a studiare e la sera cena lampo prima di un anteprima alla Cinémathéque: Free Zone di Amos Gitai, in sua presenza. Dice che i suoi amici israeliani gli hanno detto che ha del coraggio a venire a Parigi adesso. La sala ride, ovviamente Israele non è il luogo più sicuro del mondo, ma qui la fama in questi giorni non è migliore. Il film è interessante più che bello. Si viaggia per la Giordania con una Nathalie Portman piacevole, ma inespressiva. Le altre due attrici sono invece molto brave. A livello di regia non amo tanto le sovrapposizioni in trasparenza, una o due passino, ma che non diventi uno strumento di poetica. Citazioni interessanti: parlano dei guerrieri beduini che per scontrarsi facevano sedere il campione di un gruppo sull’altro, a turno. Lei sentenzia: certo che se Sharon si sedesse su Abu Mazen e poi Abu Mazen su Sharon la situazione sarebbe migliore qui. La cosa più interessante sono i passaggi alle frontiere e lo sguardo sulle mutue sofferenze israeliane e palestinesi, senza troppa retorica. Il titolo Free Zone è preso da un luogo reale : "La 'free zone' esiste davvero - dice Gitai - nella parte est della Giordania, tra Iraq, Siria, Arabia Saudita; è una zona franca, non ci sono tasse, quindi uomini di origine diversa fluiscono qui per fare affari, come d esempio vendere e comprare una macchina. Mi interessava osservare come, a prescindere dalla politica, la gente si organizza per portare avanti a ogni costo la propria attività, la propria vita, nonostante il pericolo, gli attentati, i chek point e tutto il resto che passa ogni giorno sui telegiornali di tutto il mondo". Finito il film torno al foyer e bevo una birra con Johannes.
Altra notizia positiva del giorno: Le Monde ha scoperto le arti tipografiche e si è finalmente tolto di dosso quel grigiore e quella linearità che lo rendevano illeggibile. Ora va molto meglio, avrà più chances di farsi comprare. [scrittura automatica: post composto in tre minuti circa]

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