Paris is a moveable feast ("Festa mobile" Hemingway). Blog su un erasmus a Parigi.

Sunday, February 26, 2006

Semaine du 20/2/06

Per i più distratti: questo blog è diventato un settimanale. Distratti è una categoria in cui mi riconosco. Lunedì ricomincio i corsi. Alle 9 in Sorbonne. Mi sveglio alle otto meno dieci, stranamente riposato. Mi vesto e scendo per la colazione, fiero della mia freschezza. Nel parallelepipedo arancione in cui veniamo saziati non c’è nessuno. Dubbi. Fugati dall’orologio a destra: nove e dieci. E non otto. E’ successo che cambiando la sim al telefono mi ero sbagliato ad aggiustare l’orario. Corso saltato. Ma evitatemi la cronaca e passiamo ai pezzi forti della settimana. Il leitmotiv ultimamente è cinema e cimiteri (seguo permutazioni in “ci”, prossimamente cinodromo, ciminiere, cibori).
Cinema: “l’ivresse du pouvoir”, ultimo film di Chabrol con Isabelle Huppert (settimo film insieme). La Huppert è il giudice istruttorio di questa satira grottesca del potere. Guanti rossi, eleganza misurata, determinazione e carriera. Un fisico da rondine contro gli alti strati della finanza d’assalto. Narcisi, arricchiti, snob, sigarofumanti, imbellettati, di una volgarità malamente mascherata, cinici senza averne l’intelligenza. Uomini, irrimediabilmente. La storia dietro al film è l’affaire Elf, Francia anni novanta. Corruzione e capitalismo incontrollato, nulla di nuovo. E nasce la domanda: potremo mai avere un film italiano su mani pulite? Dubbi. Comunque la Huppert, determinata giudice con vocazione di martire, resiste, continua la sua missione, impedita a ogni passo da uomini (al potere, al governo, sul lavoro, a casa) che tanto vorrebbero si limitasse a cucinare blanchette de veau la domenica, e a parlar di moda il resto del tempo. Resiste, quando tutti noi vorremmo lasciasse affondare tutti nella mota e si godesse la vita. Ce ne dà la soddisfazione alla fine, non gettando la spugna, ma sentenziando un “qu’ils se demerdent” degno da Via col Vento.

Altro film: “Tirez sur le pianiste”, di Truffaut. Della serie “ che cos’è la nouvelle vague”. Meno divertente e innovativo di Godard, un po’ più studiato. Specchi ovunque per parlare dei piani nel cinema. Questa scena la prendo da dietro, ma guardate nello specchio, potevo farla anche così. Storia di vita presente e passato rimosso, che gioca sui clichè del genere. Ad esempio, lui dice “lo giuro. Potesse morire mia madre all’istante”, e vediamo la scena di una vecchia che cade a terra. Ipotesi che tutto il film sia partito da un pianista ascoltato una sera da Truffaut.

Angolo necrologico ora. Cimitero di Montparnasse con Silvana, una novità per entrambi. Molto regolare, quasi centuriato rispetto a quella discarica di pietre tombali che è Père Lachaise, e quell’insieme appena più ordinato che è Montmartre. Qui siamo nel cuore del quartiere borghese. Un po’ di ordine, andiamo. Tutti i morti si stendano ordinatamente a terra e restino in silenzio. Ciascuno ha un suo numero. Sartre e la De Beauvoir sono subito a destra, Baudelaire è un po’ nascosto dal nome del padre, Henri Langlois è una sorpresa. Di quelli che non cerchi e dici “tiens!”. Tomba coperta da ritagli di scene cinematografiche per il “dragone che sorveglia ciò che amiamo”. Beckett non si trova. Se qualcuno vi desse un appuntamento davanti alla tomba di Durkheim, diffidate. Uno perché chi vi da’ appuntamento davanti a una tomba non può che portare un impermeabile nero, dei guanti di pelle e avere una doppietta pronta per voi. Due perché Durkheim ha un numero, ma non un posto sulla mappa. Il premio della sepoltura più kitsch va a “Ricardo” con un gattone in porcellana seduto sulla pietra, un mix tra Gaudì e una biscottiera di cattivo gusto. Si consiglia di lasciare disposizioni sull’estetica della vostra abitazione postuma. Non si sa mai che arrivi l’amico “lui avrebbe sempre voluto che …” e vi ritrovate con un buddha di alluminio con intarsi in neon che sorveglia le vostre ceneri.

Un ultimo film aspetta il weekend. C’è un festival a Saint Denis: “Sex is politics”. Ci si vorrebbe andare venerdì sera, io dico “andate andate” ma non funziona, restano tutti a casa. Sabato pomeriggio Adriana torna a proporre, accetto per carenza di volontà di rifiutare. Quarantacinque minuti di metro per un film di due ore. E che film. “Demonlover”. In pratica una storia di spionaggio in cui lei lavora per un gruppo finanziario che vuole fare affari con i manga erotici giapponesi, poi scopriamo che è un’’infiltrata del gruppo concorrente pagata per mandare in fumo il progetto, ma si innamora anche del suo collega di lavoro e sono insieme a Tokyo quando lei cerca di rubare dati dai concorrenti e finisce per uccidere una donna ritrovandosi poi ad essere sottoposta alla sua ex. segretaria perché nel frattempo si è scoperto il suo doppio gioco (perché non licenziarla tout court?) e all’improvviso appare la donna che aveva il suo posto prima di lei e che in combutta con la segretaria non si sa perché vuole vendicarsi, per questo (logica?) lei uccide il suo collega mentre sono a letto, e viene fuori che il sito internet (perché tutto è cosparso di tecno-futurismo-o-yhea) dei manga copre un sito di torture dove tu puoi chiedere di torturare un personaggio reale e loro lo torturano davvero, e alla fine lei finisce chissà come nel sito e quando stanno per torturarla finisce il film. E anche la tua di tortura. Preferivo il mio ninja col telefono di Garfield. Come se non bastasse usciamo, io vado verso il metro e Adriana “no, dai, facciamo un giro”. A Saint Denis ?! Cioè dico… ma taccio aspettando si arrenda all’evidenza. Una Riccione più povera, fredda e senza il mare. Tiro verso il metro, ma che qui si respiri meglio, c’è più spazio che a Parigi. Finalmente entriamo nel confortante tubo metropolitano. E già tardi e accetto di andare direttamente a cena nel quartiere latino. Cena durante la quale mi lancio in una conferenza su B. Veniamo poi raggiunti da Johannes e Benjamin e si va ad ascoltare un concerto al La Fontaine, il café dov’ero stato la mia prima sera a Parigi. Si resta in piedi, ottima musica jazz, ma diverse pretese. Si impone quasi il silenzio durante il concerto, un tizio gira a intimare “shhh” a chi parla. Un po’ a ragione, un po’ no. Rientriamo non troppo tardi e chiacchieriamo da me.

Sunday, February 19, 2006

Semaine (senza accento) du 12-19/02

Eh si, a Parigi è Febbraio. Con quelle fastidiose nuvole laccate di piombo alla deriva in una colata di blu invecchiati. Buono per starsene a passeggiare in un cimitero, sotto una leggera pioggia imposta dalla produzione. Non stupisce che gli unici viventi siano attorno alla statua irradiante di Dalida. Nemmeno il marais è questo granché, con gli alberi nudi a place des vosges che sembrano secchi di magrezza. Si può girare in tondo più volte prima di accorgersi che è sempre la stessa. I giardini poi, si sa, sono affare estivo. E voglio dire, il tramonto tra il museo d’Orsay e la Tour Eiffel c’è un po’ in ogni cartolina. Non vale la pena di prender freddo. Ci sarà l’estate, con le maniche corte, il metro insopportabile, poche scuse per entrare in un caffè “à se réchauffer”, arriveranno le giornate piene di impegni, gli orari, il marcher vite, lo sbrigarsi che è tardi, la voglia di mare, un treno che parte. E la nostalgia dei mattoni bagnati, del cemento lucidato dall’umidità, del potersi perdere, destra o sinistra?, ma chi ci abita in place des vosges? poca voglia di pensare, di trovare una meta, di rientrare a casa, che ore sono? le scuse si trovano dando un calcio a un sasso.

Che altro fare in questo postaccio insalubre? Andare al cinema. Volete proprio sapere cosa vedo? Beh allora iniziamo con "Ascenseur pour l’echafaud". Un polar di Louis Malle girato in bianco e nero a Parigi con colonna sonora originale di Miles Davis. Posso andarmene ora? Quando la camera inquadra loro che parlano al telefono -la sua giacca sale e pepe, fatta apposta per il b/n- poi allarga e attacca la tromba di Davis, verrebbe da piangere. Il film ha tutto per essere deludente, troppi elementi di supposta perfezione, non può andare tutto bene. E invece, mentre lui cammina verso il suo patron che deve uccidere, il contrabbasso sottolinea i passi, dalla vetrata sullo sfondo si vede la collina di Montmartre. Lei passeggia la notte sugli Champs Elysées, l’a solo di Davis inizierà a suonarvi in testa ogni volta che camminereta a Parigi dopo il tramonto (ne ho le prove). Ta na -- tana taaa naaa na … Pare sia stata composta improvvisando sulle immagini, come se Davis e compagni fischiettassero in sala di proiezione.

Altro film: La morte di Dante Lazarescu. Film rumeno che ha vinto il premio “un certain regard” a Cannes. La storia andatevela a leggere su imdb. Questo corpo che attraversa il film, da 62enne simpatico a lettino di ospedale, maltrattato, rimpallato tra gli ospedali. Tutti sono esperti di medicina e consigliano pillole su pillole. Pezze su pezze, per curare un uomo, per curare un paese. Rimedi momentanei, rinvii, e se sono persone chissenefrega. “L’ulcera non viene dall’alcool, viene dagli helicobatteri”. E i gatti, che fine faranno i gatti? Non so se arriverà in Italia, nel caso prendetevele queste due ore e mezzo libere (eh si, 2.30).

Ma la vera pazzia cinefila si manifesta sabato. Alla cinémathèque c’è la nuit excentrique: film dalle 9 all’alba. Una notte bianca di pellicola. Vi aspetterete una grande serie di classici imperdibili. No. Non me l’aspettavo nemmeno io. Piuttosto film bizzarri, da vedere stasera o mai più. Certo, ma qui si esagererà. La serata è gestita da gente del sito www.nanarland.com dei fan -leggi maniaci- di film trash (“film mauvais mais sympathiques”). Il responsabile della cinémathèque presenta la serie come guidata da un dadaismo inconsapevole, un surrealismo incosciente. Si procede così: una serie di bande annonce (trailer), degli estratti, un film intero, una pausa. . Dei cocktail sono offerti per tutta la notte. Un cocktail in verità. Il cointreaupolitan: cointreau e cranberry ocean spray più ghiaccio. Un miscuglio dolcissimo, imbevibile.
Prima di iniziare parte un pezzo con Chuck Norris: al tizio che gli intima di fare attenzione a dove mette i piedi, l’eroe replica “metto i piedi dove voglio, e spesso è in faccia”. Urla da stadio in sala, come per il resto della serata, si deve applaudire e urlare la propria approvazione per i dettagli più riprovevoli. Il primo film proiettato è un lungometraggio non finito del ’36, ritrovato senza titolo in cinémathèque. Immaginatevi i sapienti che devono visionare la perla sconosciuta, darle un nome, una vita. Dopo lunghe discussioni si arriva a un compromesso: “la comtesse hashish”. Una storia alla Ed Wood, in cui un capitano di battello italiano dall’aria mussoliniana, Mario detto “droit devant”, viene immischiato in un traffico di droga dall’America. Sono in mare “a dritta, tutto a sinistra” e non c’è un alito di vento. Ma le riprese si fanno oggi, con o senza. Piani sbagliati, espressività minima, clichè di un coraggio impressionante. Mario è l’eroe della pellicola, di una naivetè esilarante, “Tò, la porta è aperta” o “Vogliono avermi, ma non mi avranno”. Non finito significa che probabilmente il produttore ha visionato la pellicola durante la realizzazione (“facciamo che basta così”).
Il secondo film è un capolavoro del ninja movie: “ninja terminator”. Il regista gira film ninja da sempre, a un certo punto capisce che per esportare in occidente ci vogliono anche eroi bianchi, che fare? Semplice: si prendono un film orientale, un film occidentale e li si monta insieme. Voglio dire che i due attori non si vedranno mai, anche se li vediamo agire in storie parallele, cucite insieme con qualche equilibrismo. Da due film ne tira fuori quattro. I due si telefonano pure, e qui lo scenografo merita l’oscar. Se qualcuno di voi nel mondo trova un telefono uguale a quello del tizio baffuto ne pagherò il prezzo in oro. E’ un Garfield che apre gli occhi quando levate la cornetta. Potete immaginare un miglior oggetto di design?






Il cattivo con la parruccona bionda non scherza neppure. Anche qui momenti storici. Tipo: vediamo il killer pronto con il fucile di precisione, arriva una macchina e lei dice “perché non ci fermiamo qui a vedere il paesaggio?” Nel mezzo del niente, il deserto, il luogo con meno paesaggio sulla terra. Esigenze di sceneggiatura: devono fermarsi. Esigenze di budget: si fa con quello che si ha.
Terzo film una produzione italiana alle Filippine: “I predatori di Atlantide”. Un’atlantide freak in cui gira una banda vestita come i guerrieri della notte. Non abbastanza demenziale per ridere, non abbastanza serio per goderselo.
Tra i tre film, dicevo, trailer ed estratti. Un tripudio di esplosioni appena una macchina tocca un masso, gorilla infeltriti che imitano king kong, robot giocattoli con raggi laser al pennarello, computer anni ’80 che dicono “beep”. Si segnalano tra gli altri: l’inseguimento più lento del mondo. Vedete queste due auto che si inseguono ai 20 all’ora, e nelle curve hanno anche il coraggio di montare dei rumori di derapata. Oppure il trailer karaoke, con le frasi che urlano i personaggi all’attacco -e il pubblico- che si illuminano. Mi faccio una cultura di film ninja che mi basterà a vita. E che Tarantino smetta di vantarsi, basta una notte così e di citazioni ne fai quante vuoi. Ci sono pure i nostrani Alvaro Vitali (che visto qui passa) e la Fenech. Volete una serie di titoli? Li metto in francese, i cultori cineasti interessati alle traduzioni chiedano. Blood Freak, Captain America, L’hotesse de Copenhagen -il primo film erotico intelligente- il faut battre le chinois quand il est chaud, Le manoir maudit (qui est cette femme? Qu-est-ce qu’il y a après la porte? Mystère, horreur, le manoir maudit!) le sexe qui chante, Laissez bouger les fesses e su tutti au karate t’as karatake (intraducibile). Alle sei penso sia tutto finito, aspetto la colazione. Ma no, c’è un ultima parte di due ore e mezzo. Ma no, facciamo basta così. Il sottile limite tra pazzia e sadismo. Rientro senza colazione offerta e vado a dormire nemmeno troppo stanco.


Un' ultima raccomandazione: se andate al cinema, questa è la testa dell’uomo dietro al quale non dovete sedervi.

Wednesday, February 15, 2006

Normandie, campagne

Tuesday, February 14, 2006

Normandia

Risparmierò i dettagli della preparazione. Una valigia che assomiglia più a un sacco, pur non essendo uno zaino. E lascerò in un cassetto anche il viaggio. In treno, uno legge in italiano, uno in tedesco, una in spagnolo e si parla in francese (qualcuno ha due parole sull’imperialismo anglofono?). Benjamin ci attende a Caen. Il suo appartamento si rivela una sorta di villa di quattro piani in pieno centro. Parquet, mattoni a vista, molto legno, piccolo giardino con piscina, terrazza vetrata, quadri della madre alle pareti, cucina immensa, tutto molto bianco con qualche tocco di rosso etnico e tappeti. Comme arriviamo alle 10 di sera c’è giusto il tempo per mangiare qualcosa e restare a chiacchierare sul divano ascoltando musica francese (Philippe Delerme ha un figlio che suona jazz). Il mattino dopo una colazione con marmellata fatta in casa, baguette appena nata e latte normanno. In due giorni a Caen, Caen sarà l’unica cosa che non vedremo (eppur ce n’è). Partiamo con la citroen Berlingo verde gentilmente prestata dalla famiglia. Ci si dà il cambio tra me e Johannes. Vi siete mai chiesti perché la Francia riceve la gran parte dei finanziamenti all’agricoltura dell’UE? Perché qui la campagna si estende a chilometri, i campi sono verdi come si deve e le mucche proliferano. Piccole case che sembrano fatte di carte ricoperte di paglia e legno ammuffito. Chambre d’hôte ovunque, edera, muschio. Johannes mi stupisce. Normalmente senza troppa iniziativa vede una fattoria in cui si produce cidre e Calvados, chiede “ci fermiamo?” e ha già parcheggiato. Apriamo un cancello, un asino annuncia la nostra presenza, Benjamin entra in casa e senza preamboli economici annuncia: “potremmo assaggiare del Calvados o del sidro?” Certo. Ovvio. Di gruppi così internazionali non devono vederne tanti, ma il giovane mani callose e la madre occhiali naso rosso non risparmiano dettagli su ogni fase della coltura-maturazione-macerazione-fermentazione delle mele. Il Calvados è ottimo. Il cidro non è pronto, ma volendo aspettare cinque mesi… finisce che tre bottiglie ce le regala e mentre gli altri intrattengono i nostri ospiti io faccio foto. Se fosse per loro ci terrebbero tutto il pomeriggio a bere Calvados. Non è il caso.
In mezz’ora arriviamo alla spiaggia. E qui marco la mia prima croce tra le 100 cose da fare prima di morire. Andare alla spiaggia dello sbarco in Normandia. Salvateilsoldatoryan a noi. Non c’è nessuno. Delle case come di vedette sulla costa, sabbia fine con le rughe dell’acqua che si ritira. Ci sono i mostri metallici riconquistati dalle alghe che sono serviti per il porto artificiale. Pare fosse di Churcill l’idea: non c’è porto in Normandia, ce lo portiamo al momento dello sbarco. Le grida dei gabbiani sostituiscono quelle di battaglia di sessant’anni fa. Una sabbia nutrita con il sangue. Passeggiamo dove si inciampava bestemmiando per un progetto folle che non si sapeva come sarebbe finito. Saliamo al cimitero americano. Brutto come solo un cimitero di guerra americano, con tutte le croci ben nomate, ma anonimamente bianche e in riga. Senza cura del fato che al soldato Jonson piacesse più guardare a sud che a ovest, che a Bernard l’aria di male desse il mal di testa. Si ha solo un’impressione qualitativa: erano tanti, migliaia. Sembra di essere in un film di Coppola sul dopo Vietnam. Pare che dopo il tradimento francese nella guerra d’Iraq (II) gli usa volessero riportare le croci in patria. Facciano pure, ma qui almeno vedono il mare.
Pausa pranzo su un muretto vista spiaggia e ripartiamo per Bayeux.
La città ha quella patina grottesca da grandi speranze costruite sul turismo, ma custodisce un tesoro. Seconda croce nella lista delle 100: l’arazzo di Bayeux. Il primo fumetto della storia (il francese “bande desinée” rende meglio) la prima serie di fotogrammi da vedere in movimento, uno dei primi documenti storici alla portata di tutti, un romanzo per il popolo, che sembra finito ieri per quanto sono vivi i colori. Tutto quello che c’è prima è tra i peggiori musei del mondo. Un’installazione tipo recita della scuola elementare con una sorta di cartamodello dell’arazzo, un documentario filmato con personaggi finti, un labirinto di scale. Poi l’arazzo. Immerso nel buio. 50 centimetri per 70 metri di lino e fili intrecciati. Commenti come i baloon dei fumetti: “qui re Edoardo sta male” “E qui muore” con il re che esprime rughe di lana. Cavalli che ricordano i fregi -rubati- del Partenone e colori da mille e una notte. L’audioguida è buona per scacciare le mosche, inespressiva come un centralinista telecom. Da restarci paralizzati qualche ora. Io e Johannes apprezziamo, gli altri un po’ fingono, un po’ assecondano.
Ripartiamo per Caen dopo una cioccolata calda. Entrando scopriamo che Guglielmo il conquistatore -protagonista dell’arazzo- è sepolto a Caen, e che anche Charlotte Corday -pugnalatrice di Marat- è una concittadina. La sera un verre in un caffè sympa e una visita all’atelier della madre di Benjamin, chè i quadri alle pareti sono anche il suo lavoro. Rientrando a casa gli chiediamo più volte come faccia durante la settimana ad abitare in cattività al foyer con una casa come questa. Un po’ risponde, un po’ no.
Il giorno dopo si parte all’est per i pays d’auge. Sembra di spostarsi nel reparto formaggi di un supermercato francese. “Pont l’eveque” , “Pavé d’auge”, nomi che uno crede inventati. E invece. Giornata fredda, cielo come inchiostro annacquato, case a scacchi, tetti crosta di pane. Facciamo una passeggiata abbastanza fangosa. Adriana si attira le ire normanne dicendo che i cavalli locali assomigliano a quelli mongoli.
Al pomeriggio andiamo a Trouville, una succursale dei parigini al mare. Pranziamo esageratamente tardi e passeggiamo sulla spiaggia. Cappotti lunghi, pioggia leggera, mani in tasca, andatura altalenante, sembriamo il videoclip di una band al primo album. Rientriamo la sera -che tutto non ho voglia di raccontarlo- e alle 20.30 ci portano in stazione. Ripartiamo e torniamo a essere dei metropolitani, con i capelli pettinati, le scarpe pulite, il Calvados del supermercato e la métro in ritardo.

Friday, February 10, 2006

Scappo dalla città: la vita, l'amore, le vacche.

Causa weekend bucolico a Caen il blog è sospeso per un paio di giorni. A presto -con chi sopravviverà alla nostalgia- .
Nella foto: esemplare di punta del made in Normandia

Wednesday, February 08, 2006

Foto canale Saint Martin ghiacciato


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Monday, February 06, 2006

Rientro febbraio

Giovedì sera mi aspetta un treno. Giovedì pomeriggio mi spetta un’escursione in banlieue: a Creteil c’è la mia responsabile Erasmus che partecipa a una conferenza. Felice e spensierato accetto di buon grado di partecipare all’imperdibile incontro (leggi: sono costretto a partecipare a una conferenza che non mi interessa, per giunta in un posto orrendo). Istruzioni per arrivare a Creteil: prendere la linea 8. Andare a Sud. Ancora. Ancora. Ancora. La penultima stazione è l’Università. In un freddo siberiano io e Sonia cerchiamo di individuare quale degli edifici monoblocco-cementificati ci tocchi in sorte. Lo troviamo, assistiamo, salutiamo andiamo. Giornata grigia, quartiere pure. Potremmo benissimo essere nella periferia milanese.
Dopo un’altra mezz’ora buona di metro arrivo a casa, finisco di preparare le mie valigie, mi doto di un panino e vado in stazione. Tutto ok. Compagni di viaggio un ragazzo francese, una signora di Bologna (il cui topic è :io sono una che gira il mondo negli ostelli cosamenefrega), una rientrante italiana da uno stage che millanta conoscenza di Parigi, una silenziosa signora francese. Per una mezz’ora si discute del nulla, lamentandosi variamente di Francia e Italia. Poi, non si sa come, la silenziosa signora francese perde il suo tanto piacevole attributo, e con un golpe senza sangue conquista militarmente il monopolio della parola. Il suo pezzo d’attacco è la storia di un capotreno aggredito sul treno notturno da un uomo. I due vengono separati dall’intervento di un’antillese che mostra una medaglia della Madonna (non M.me Ciccone) all’aggressore. Noi tra l’incredulità e il riso, pensiamo l’abbia raccontato per divertirci. Invece da qui comincia l’apologia della Madonna di San Damiano e della sua medaglia miracolosa. E che se gli fai delle foto alla statua poi nella foto viene fuori qualcosa che nella realtà non c’era e vuole dire che la madonna vuole dirti qualcosa se poi prendi l’acqua da una fonte li vicino puoi guarire i miracoli e noi quando andiamo là preghiamo per tutti mica solo per i presenti e una volta la madonna ha detto che gli handicappati non sono persone inutili perché sono nate così per salvare altri e quando in Francia è passata la legge sull’aborto la madonna aveva il ventre insanguinato. Dopo quella sugli handicappati sto per intervenire, ma mi trattengo. In fondo è piacevole vedere che non li abbiamo tutti noi gli integralisti. Il francese guarda fuori dal finestrino come me, le donne si mostrano interessate, interagiscono, conversano. Poi quando esce pare anche loro la prendono per matta. Però prima di addormentarsi parlano di oroscopi “tu che ascendente hai” “si vede che sei proprio un toro”…
Al mattino secondo treno Bologna --> Rimini. Un grasso bolognese pelato, un mix tra Mussolini e l’omino michelin (nota: word segna errore “Mussolini” e vorrebbe revisionare la memoria storica dell’utente correggendo in “Mussolina”. Vedi alla voce: Fascismo e altri merletti). Il suo argomento sono i grattacieli di Montecarlo, che lui ne ha visti in America e ovunque, ma come quelli, illuminati tutta la notte. Opto per il White Album dei Beatles e faccio filmati alla campagna coperta di brina.
Per continuare la serie degli schizzi per un personaggio, sabato vado a tagliarmi i capelli. Il mio barbiere è nel cuore dell’anima felliniana di Rimini: il borgo San Giuliano, uno dei pochi angoli veramente belli di Rimini. Ora, Fellini era un genio, ma i personaggi surreali esistono davvero. Qui ogni tanto entra qualcuno, dice la sua e se ne va. Oggi c’è un tizio pelato e barbuto che è stato alle Canarie. Si sono belle, ma sono come Bellariva, una fila di alberghi solo che là c’è l’oceano, dice mentre qualcuno mette fine alla sua pelata incollando un parrucchino rossastro. Vi risparmio una foto comparativa.
In fondo si, ci stiamo bellarivizzando, una fila d’alberghi e nemmeno il gusto di un marucolo inquinato. Où va-t on ?

Saturday, February 04, 2006

31/01 1/02

Seduto alla mia scrivania riminese, “Horses” di Patti Smith in cuffia, guardo fuori dalla finestra il grigio-nebbia-azzurropallido-fumo tipico di questa regione in questo periodo dell’anno. Quando tornerò in Italia dovrò cancellare questo blog per evitare che mi perseguiti come un fantasma. La domanda che potrebbe sussurrarmi all’orecchio, mentre trascina catene di ferro e link, sarebbe allo stesso tempo banale, pressante e inevitabile: “cosa !$”% stai facendo qui?”. Le risposte saranno poche e semplici, pronunciate d’un fiato per battere i dubbi sullo scatto.
Ma adesso posso ancora abbandonarmi al racconto degli ultimi giorni in una città che ritroverò fra poco.

Il 31 mattina riposo e pubblicazione blog. Alle 13 ho appuntamento con Filippo a Saint Paul, giornata fredda, ma cielo alla Hopper. Robert dovrebbe partire questa sera e dovrebbe lasciarmi la sua sim francese, cerchiamo di prendere un appuntamento. Semplice no?
“Alle 14 a saint paul” -ok-
Con Filippo andiamo a mangiare sushi.
“Non ce la faccio, 14.30” -ok-
“15” ¬-ok-
Poi:
“Ho appena scoperto che il mio bus partiva alle 15, non questa sera, vediamoci alle 15.30 dove vuoi”
-Sei irrecuperabile, 15.30 hotel de Ville-
“Non posso prenotare on-line, devo andare là, a stasera”
-a stasera …-
In pratica questo genio dell’organizzazione (puntualità tedesca, rigidità ecc.) si è accorto all’ultimo secondo che il suo bus notturno era un bus pomeridiano. Mi rassegno all’insondabile spirito tedesco e rinvio tutto alla sera.
Camminiamo fino al Luxembourg e riusciamo abbastanza bene nell’impresa di congelarci come il laghetto davanti a noi. Si discute delle limitazioni del cinema, tipo: sta passando un tipo con un cappello da aviatore (quelli con i rigonfiamenti in pelle sulle orecchie), io immagino questa scena in cui dal fondo delle due file di alberi si vede arrivare un biplano stile barone rosso che si dà a inseguire il tipo con dovizia di mitragliatrici. Pensate ai problemi di montare questo su un set. In uno scritto invece basta nominare. Il solo problema è come renderlo visivo. Fortunatamente il gelo ci blocca prima della deriva mentale.
Rientrando passo da Robert per farmi spiegare quello che nemmeno lui sa: come si fa a perdere un bus prenotato da un mese. Impresa seconda solo al perdere un aereo che parte alle 18 a Stansed dopo essere stati in aeroporto dalle 11 di mattina. Non che mi sia successo, per questo non posso dirvi quanto sia scomodo dormire in una sala d’attesa con le gambe su una valigia…
La sera passa al Babel café, vicino a Menilmontant, buona musica e compagnia di quattro nazionalità diverse. Il simposio raggiunge l’apice discutendo dei nomi dei puffi nelle diverse lingue. Silvana, che spezza la monotonia della delegazione italiana, riesce a épater i francesi con una traduzione franco-italiana di “Puffetta”.

Il giorno dopo visita alla Villette con Filippo. Prima di uscire passo da Robert, lo saluto (questa volta pare certo di partire), mi lascia la sua scheda, esco, prendo l’autobus. Provo la mia nuova scheda, certo che ormai nulla potrà fermare la mia reperibilità francese. Tolgo, metto, accendo: “inserez code PIN”. 1 2 3 4. No. 01234. No. Non poteva andare liscia, scrivo a Robert per avere il codice misterioso, ma ci vorranno due giorni. Meglio allora andare all’ Expo su Star Wars e poi a giocare come dei bambini agli esperimenti del museo. Da oggi le nostre impronte e le nostre facce sono inserite nel database dell’expo sulla biometria (e negli archivi di Sarkozy, ovviamente). Ogni sera i dati vengono cancellati (…) ma incontrando le telecamere in metro ci sentiamo come osservati. Addio progetti di attività eversive, crimini senza macchia, delitti perfetti.
Pomeriggio sul canale Saint Martin, in parte ghiacciato. Arrivati a Republique pensiamo di andare a vedere un film. Al “Quartier Latin” c’è “A night at the opera” dei Marx Brothers. In dieci minuti siamo là, a film appena iniziato. Un capolavoro. Uscendo abbiamo entrambi voglia di affettare un salame con l’accetta come Harpo.

La sera sfodero il mio ultimo asso culinario: la crepèrie Josselin a Montparnasse, poi un verre a Nation e ognuno rientra chez soi.

A seguire su questi schermi “La partenza: cronaca comico-grottesca di un rientro ferroviaro in Italia”.

Wednesday, February 01, 2006

Foto jazz bonus