Paris is a moveable feast ("Festa mobile" Hemingway). Blog su un erasmus a Parigi.

Tuesday, February 14, 2006

Normandia

Risparmierò i dettagli della preparazione. Una valigia che assomiglia più a un sacco, pur non essendo uno zaino. E lascerò in un cassetto anche il viaggio. In treno, uno legge in italiano, uno in tedesco, una in spagnolo e si parla in francese (qualcuno ha due parole sull’imperialismo anglofono?). Benjamin ci attende a Caen. Il suo appartamento si rivela una sorta di villa di quattro piani in pieno centro. Parquet, mattoni a vista, molto legno, piccolo giardino con piscina, terrazza vetrata, quadri della madre alle pareti, cucina immensa, tutto molto bianco con qualche tocco di rosso etnico e tappeti. Comme arriviamo alle 10 di sera c’è giusto il tempo per mangiare qualcosa e restare a chiacchierare sul divano ascoltando musica francese (Philippe Delerme ha un figlio che suona jazz). Il mattino dopo una colazione con marmellata fatta in casa, baguette appena nata e latte normanno. In due giorni a Caen, Caen sarà l’unica cosa che non vedremo (eppur ce n’è). Partiamo con la citroen Berlingo verde gentilmente prestata dalla famiglia. Ci si dà il cambio tra me e Johannes. Vi siete mai chiesti perché la Francia riceve la gran parte dei finanziamenti all’agricoltura dell’UE? Perché qui la campagna si estende a chilometri, i campi sono verdi come si deve e le mucche proliferano. Piccole case che sembrano fatte di carte ricoperte di paglia e legno ammuffito. Chambre d’hôte ovunque, edera, muschio. Johannes mi stupisce. Normalmente senza troppa iniziativa vede una fattoria in cui si produce cidre e Calvados, chiede “ci fermiamo?” e ha già parcheggiato. Apriamo un cancello, un asino annuncia la nostra presenza, Benjamin entra in casa e senza preamboli economici annuncia: “potremmo assaggiare del Calvados o del sidro?” Certo. Ovvio. Di gruppi così internazionali non devono vederne tanti, ma il giovane mani callose e la madre occhiali naso rosso non risparmiano dettagli su ogni fase della coltura-maturazione-macerazione-fermentazione delle mele. Il Calvados è ottimo. Il cidro non è pronto, ma volendo aspettare cinque mesi… finisce che tre bottiglie ce le regala e mentre gli altri intrattengono i nostri ospiti io faccio foto. Se fosse per loro ci terrebbero tutto il pomeriggio a bere Calvados. Non è il caso.
In mezz’ora arriviamo alla spiaggia. E qui marco la mia prima croce tra le 100 cose da fare prima di morire. Andare alla spiaggia dello sbarco in Normandia. Salvateilsoldatoryan a noi. Non c’è nessuno. Delle case come di vedette sulla costa, sabbia fine con le rughe dell’acqua che si ritira. Ci sono i mostri metallici riconquistati dalle alghe che sono serviti per il porto artificiale. Pare fosse di Churcill l’idea: non c’è porto in Normandia, ce lo portiamo al momento dello sbarco. Le grida dei gabbiani sostituiscono quelle di battaglia di sessant’anni fa. Una sabbia nutrita con il sangue. Passeggiamo dove si inciampava bestemmiando per un progetto folle che non si sapeva come sarebbe finito. Saliamo al cimitero americano. Brutto come solo un cimitero di guerra americano, con tutte le croci ben nomate, ma anonimamente bianche e in riga. Senza cura del fato che al soldato Jonson piacesse più guardare a sud che a ovest, che a Bernard l’aria di male desse il mal di testa. Si ha solo un’impressione qualitativa: erano tanti, migliaia. Sembra di essere in un film di Coppola sul dopo Vietnam. Pare che dopo il tradimento francese nella guerra d’Iraq (II) gli usa volessero riportare le croci in patria. Facciano pure, ma qui almeno vedono il mare.
Pausa pranzo su un muretto vista spiaggia e ripartiamo per Bayeux.
La città ha quella patina grottesca da grandi speranze costruite sul turismo, ma custodisce un tesoro. Seconda croce nella lista delle 100: l’arazzo di Bayeux. Il primo fumetto della storia (il francese “bande desinée” rende meglio) la prima serie di fotogrammi da vedere in movimento, uno dei primi documenti storici alla portata di tutti, un romanzo per il popolo, che sembra finito ieri per quanto sono vivi i colori. Tutto quello che c’è prima è tra i peggiori musei del mondo. Un’installazione tipo recita della scuola elementare con una sorta di cartamodello dell’arazzo, un documentario filmato con personaggi finti, un labirinto di scale. Poi l’arazzo. Immerso nel buio. 50 centimetri per 70 metri di lino e fili intrecciati. Commenti come i baloon dei fumetti: “qui re Edoardo sta male” “E qui muore” con il re che esprime rughe di lana. Cavalli che ricordano i fregi -rubati- del Partenone e colori da mille e una notte. L’audioguida è buona per scacciare le mosche, inespressiva come un centralinista telecom. Da restarci paralizzati qualche ora. Io e Johannes apprezziamo, gli altri un po’ fingono, un po’ assecondano.
Ripartiamo per Caen dopo una cioccolata calda. Entrando scopriamo che Guglielmo il conquistatore -protagonista dell’arazzo- è sepolto a Caen, e che anche Charlotte Corday -pugnalatrice di Marat- è una concittadina. La sera un verre in un caffè sympa e una visita all’atelier della madre di Benjamin, chè i quadri alle pareti sono anche il suo lavoro. Rientrando a casa gli chiediamo più volte come faccia durante la settimana ad abitare in cattività al foyer con una casa come questa. Un po’ risponde, un po’ no.
Il giorno dopo si parte all’est per i pays d’auge. Sembra di spostarsi nel reparto formaggi di un supermercato francese. “Pont l’eveque” , “Pavé d’auge”, nomi che uno crede inventati. E invece. Giornata fredda, cielo come inchiostro annacquato, case a scacchi, tetti crosta di pane. Facciamo una passeggiata abbastanza fangosa. Adriana si attira le ire normanne dicendo che i cavalli locali assomigliano a quelli mongoli.
Al pomeriggio andiamo a Trouville, una succursale dei parigini al mare. Pranziamo esageratamente tardi e passeggiamo sulla spiaggia. Cappotti lunghi, pioggia leggera, mani in tasca, andatura altalenante, sembriamo il videoclip di una band al primo album. Rientriamo la sera -che tutto non ho voglia di raccontarlo- e alle 20.30 ci portano in stazione. Ripartiamo e torniamo a essere dei metropolitani, con i capelli pettinati, le scarpe pulite, il Calvados del supermercato e la métro in ritardo.

2 Comments:

Anonymous Anonymous said...

bellissimo.... ma l'arazzo di bayeux lo facevano fotografare? se sì, postalo, ti prego!
ciao!

6:58 PM

 
Blogger Claudio said...

no, non si poteva fotografare, anche perchè è troppo buio. Trovi delle immagini qui:
http://hastings1066.com/baythumb.shtml
e qui
http://www.golemindispensabile.it/immagini/bayeux_g.jpg
attenzione a cercare on-line perchè molte sono riproduzioni disegnate...

7:42 PM

 

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