Paris is a moveable feast ("Festa mobile" Hemingway). Blog su un erasmus a Parigi.

Sunday, February 26, 2006

Semaine du 20/2/06

Per i più distratti: questo blog è diventato un settimanale. Distratti è una categoria in cui mi riconosco. Lunedì ricomincio i corsi. Alle 9 in Sorbonne. Mi sveglio alle otto meno dieci, stranamente riposato. Mi vesto e scendo per la colazione, fiero della mia freschezza. Nel parallelepipedo arancione in cui veniamo saziati non c’è nessuno. Dubbi. Fugati dall’orologio a destra: nove e dieci. E non otto. E’ successo che cambiando la sim al telefono mi ero sbagliato ad aggiustare l’orario. Corso saltato. Ma evitatemi la cronaca e passiamo ai pezzi forti della settimana. Il leitmotiv ultimamente è cinema e cimiteri (seguo permutazioni in “ci”, prossimamente cinodromo, ciminiere, cibori).
Cinema: “l’ivresse du pouvoir”, ultimo film di Chabrol con Isabelle Huppert (settimo film insieme). La Huppert è il giudice istruttorio di questa satira grottesca del potere. Guanti rossi, eleganza misurata, determinazione e carriera. Un fisico da rondine contro gli alti strati della finanza d’assalto. Narcisi, arricchiti, snob, sigarofumanti, imbellettati, di una volgarità malamente mascherata, cinici senza averne l’intelligenza. Uomini, irrimediabilmente. La storia dietro al film è l’affaire Elf, Francia anni novanta. Corruzione e capitalismo incontrollato, nulla di nuovo. E nasce la domanda: potremo mai avere un film italiano su mani pulite? Dubbi. Comunque la Huppert, determinata giudice con vocazione di martire, resiste, continua la sua missione, impedita a ogni passo da uomini (al potere, al governo, sul lavoro, a casa) che tanto vorrebbero si limitasse a cucinare blanchette de veau la domenica, e a parlar di moda il resto del tempo. Resiste, quando tutti noi vorremmo lasciasse affondare tutti nella mota e si godesse la vita. Ce ne dà la soddisfazione alla fine, non gettando la spugna, ma sentenziando un “qu’ils se demerdent” degno da Via col Vento.

Altro film: “Tirez sur le pianiste”, di Truffaut. Della serie “ che cos’è la nouvelle vague”. Meno divertente e innovativo di Godard, un po’ più studiato. Specchi ovunque per parlare dei piani nel cinema. Questa scena la prendo da dietro, ma guardate nello specchio, potevo farla anche così. Storia di vita presente e passato rimosso, che gioca sui clichè del genere. Ad esempio, lui dice “lo giuro. Potesse morire mia madre all’istante”, e vediamo la scena di una vecchia che cade a terra. Ipotesi che tutto il film sia partito da un pianista ascoltato una sera da Truffaut.

Angolo necrologico ora. Cimitero di Montparnasse con Silvana, una novità per entrambi. Molto regolare, quasi centuriato rispetto a quella discarica di pietre tombali che è Père Lachaise, e quell’insieme appena più ordinato che è Montmartre. Qui siamo nel cuore del quartiere borghese. Un po’ di ordine, andiamo. Tutti i morti si stendano ordinatamente a terra e restino in silenzio. Ciascuno ha un suo numero. Sartre e la De Beauvoir sono subito a destra, Baudelaire è un po’ nascosto dal nome del padre, Henri Langlois è una sorpresa. Di quelli che non cerchi e dici “tiens!”. Tomba coperta da ritagli di scene cinematografiche per il “dragone che sorveglia ciò che amiamo”. Beckett non si trova. Se qualcuno vi desse un appuntamento davanti alla tomba di Durkheim, diffidate. Uno perché chi vi da’ appuntamento davanti a una tomba non può che portare un impermeabile nero, dei guanti di pelle e avere una doppietta pronta per voi. Due perché Durkheim ha un numero, ma non un posto sulla mappa. Il premio della sepoltura più kitsch va a “Ricardo” con un gattone in porcellana seduto sulla pietra, un mix tra Gaudì e una biscottiera di cattivo gusto. Si consiglia di lasciare disposizioni sull’estetica della vostra abitazione postuma. Non si sa mai che arrivi l’amico “lui avrebbe sempre voluto che …” e vi ritrovate con un buddha di alluminio con intarsi in neon che sorveglia le vostre ceneri.

Un ultimo film aspetta il weekend. C’è un festival a Saint Denis: “Sex is politics”. Ci si vorrebbe andare venerdì sera, io dico “andate andate” ma non funziona, restano tutti a casa. Sabato pomeriggio Adriana torna a proporre, accetto per carenza di volontà di rifiutare. Quarantacinque minuti di metro per un film di due ore. E che film. “Demonlover”. In pratica una storia di spionaggio in cui lei lavora per un gruppo finanziario che vuole fare affari con i manga erotici giapponesi, poi scopriamo che è un’’infiltrata del gruppo concorrente pagata per mandare in fumo il progetto, ma si innamora anche del suo collega di lavoro e sono insieme a Tokyo quando lei cerca di rubare dati dai concorrenti e finisce per uccidere una donna ritrovandosi poi ad essere sottoposta alla sua ex. segretaria perché nel frattempo si è scoperto il suo doppio gioco (perché non licenziarla tout court?) e all’improvviso appare la donna che aveva il suo posto prima di lei e che in combutta con la segretaria non si sa perché vuole vendicarsi, per questo (logica?) lei uccide il suo collega mentre sono a letto, e viene fuori che il sito internet (perché tutto è cosparso di tecno-futurismo-o-yhea) dei manga copre un sito di torture dove tu puoi chiedere di torturare un personaggio reale e loro lo torturano davvero, e alla fine lei finisce chissà come nel sito e quando stanno per torturarla finisce il film. E anche la tua di tortura. Preferivo il mio ninja col telefono di Garfield. Come se non bastasse usciamo, io vado verso il metro e Adriana “no, dai, facciamo un giro”. A Saint Denis ?! Cioè dico… ma taccio aspettando si arrenda all’evidenza. Una Riccione più povera, fredda e senza il mare. Tiro verso il metro, ma che qui si respiri meglio, c’è più spazio che a Parigi. Finalmente entriamo nel confortante tubo metropolitano. E già tardi e accetto di andare direttamente a cena nel quartiere latino. Cena durante la quale mi lancio in una conferenza su B. Veniamo poi raggiunti da Johannes e Benjamin e si va ad ascoltare un concerto al La Fontaine, il café dov’ero stato la mia prima sera a Parigi. Si resta in piedi, ottima musica jazz, ma diverse pretese. Si impone quasi il silenzio durante il concerto, un tizio gira a intimare “shhh” a chi parla. Un po’ a ragione, un po’ no. Rientriamo non troppo tardi e chiacchieriamo da me.

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