Paris is a moveable feast ("Festa mobile" Hemingway). Blog su un erasmus a Parigi.

Thursday, September 29, 2005

quinziéme jour

Oggi niente corsi. Ma qui c’è da chiedersi quando si impari di più. Leggo un testo di Touraine abbastanza vuoto per il corso di “Soc. Soc. Europee” e poi vado alla Cinémathéque. Oggi voglio fare il pass annuale, “I want it all”. Hanno aperto ieri, forse non si aspettavano una tale invasione. La disorganizzazione è alta, spostano le file, cambiano i regolamenti, gli ingranaggi si stanno sistemando e questo edificio sta prendendo vita. Mentre sono in fila annunciano che il film che mi interessa sta per iniziare, mi danno un biglietto e, sulla fiducia, mi dicono che potrò fare il pass più tardi.
La sala è grande, spaziosa, accogliente. Poltrone imbottite con schienale alto, spazio per le gambe. Legno per i corrimano e gli schienali. Niente portabicchiere, portapatatine, portarumore, è un ambiente nobile, l’equivalente imborghesito dei matinée (sono le 12.30). A mezzogiorno non si può che vedere un Western: “The man without a star” con Kirk Douglas e William Campbell. I quattro panni neri si allontanano e scoprono lo schermo bianco, funziona come l’apertura di un obiettivo. Il film si rivela un capolavoro della comicità. L’inizio contiene già un grande topos: il treno che attraversa l’America e i cowboy che dormono nei vagoni, un tizio cerca di cacciarli. All’arrivo in città la tipica cisterna dell’acqua con tubo di ferro accoglie i due protagonisti. Entrambi vengono dal Texas, le battute memorabili si sprecano “Good old Kansas City, good liquor and good girls” o Douglas che ci consiglia “Never sell your sell”. Il tema del film attende un po’ ad arrivare, intanto c’è tempo per sparare a un po’ di bottiglie, bere nel saloon, imparare che un uomo non può uscire “half naked”, ovvero senza pistola. Avete presente il Padrino, dove si ritrae il passaggio al commercio della droga nel mondo mafioso? Ecco, qui il tema è quello del passaggio al filo spinato nell’allevamento. Geniale. Il protagonista odia il filo spinato (“I don’t like barbed wire and don’t like who use it”), suo fratello è morto cadendo da cavallo e ferendosi alla gola, lui è stato ferito alla schiena (“e nell’anima” direi, se questa fosse una rubrica di Panorama). Ma soprattutto si tratta di conservatorismo: che bisogno abbiamo del filo spinato se abbiamo i cowboy? Vogliamo cavalcare liberi per chilometri, senza questa diavoleria che ci blocchi. Capite? I dinosauri sono stati vinti dalle glaciazioni, i cowboy dal filo spinato. Per questo poi molti film li rappresentano come soggetti da città, o da Rodeo, il loro ruolo nell’allevamento era diminuito. O Tarantino non lo conosce o lo tiene per un altro film. Esco e mi faccio la mia mezz’ora di coda per il pass. La luce alle spalle costringe a un trucco molto chapliniano: per farsi fare la foto bisogna aprire un ombrello nero e appoggiarlo sulla spalla, in modo che lo sfondo sia scuro. Felice me ne vado alla Biblioteca del Centre Pompidou a leggere un po’ di Durkheim.
La sera poi, visto che ogni giorno qualcuno se ne va e bisogna uscire, passiamo per il Marais, constatiamo che tutto tace e ci spostiamo verso il quartiere latino che non tradisce mai (“Good old Latin quartier”). Finisce che io sono la guida. C’è chi prende una crepe, io ritrovo una pasticceria sud tunisina vista di giorno e prendo un Kadaif. Mi sorprendo che nessuno di quelli che sono qui in erasmus sappia cos’è “Shakespeare and Co.”, né Pont Neuf… avranno tempo.

quatorziéme jour

Oggi corso alle 11, ho tutto il tempo di leggere un po’ prima di arrivare. Il titolo della lezione è “Sensibilità post moderne”, un po’ stiracchiato tra Simmel e il gruppo communication degli anni ’60 (Barthes, Eco, Greimas e ci mette anche Morin) mai sentito parlare di? Queste cose le facciamo meglio a Bologna, decisamente. Se solo le università non fossero blindate potremmo rivendere alla Francia la sua stessa semiotica. Come ci hanno spiegato qui procedono per rivoluzioni, quando una cosa non va si cambia, vale per le costituzioni e per la cultura. Ci sono infatuazioni di massa (semiologia, strutturalismo, psicanalisi, esistenzialismo) e cicli di oblio. Adesso pare ci sia una riscoperta di Deleuze, lo si trova ovunque (sarà per i dieci anni dalla morte) e un nuovo amore cinematografico (sarà per la riapertura della Cinémathéque). E comunque il corso mi annoia un po’, già fatto, già sentito. Se gli studi di comunicazione non si rinnovano diventano banalità, schiuma. Forse quegli studi che sono più vicini alla massa sono quelli che più rischiano di venire assorbiti se non si rinnovano. Voglio dire: studiamo le Soap, in un primo momento diciamo che sono il male, poi che dipende da come, quando, con che le si guarda. Oggi ogni essere anche prossimo all’analfabetismo sa dirvi: “Si, guardo il Grande Fratello, ma con spirito critico. Non ci credo, non mi colpisce, dipende come lo si guarda”. Quindi se nelle Università continuiamo a insegnare questo tanto vale usare “Chi” come manuale del corso. Chi invece studia i palinsesti dei benedettini è meno esposto a questo rischio, a meno che domani non inizi una trasmissione dal titolo, che so “Di palo in sesto” in cui i concorrenti devono ricomporre e tradurre dal latino manoscritti del ‘200.
De toute façon, dopo il corso parte l’operazione Cinémathéque. Io e Sonia ci mangiamo un kebab salutare e leggero e raggiungiamo rue de Bercy. Vi ho già detto che l’edificio è di Ghery, Collegamentoche era stato costruito per l’istituto di cultura americana ed è stato comprato dallo stato dopo il suo fallimento. Saprete anche che la Cinémathéque era stata fondata da Henri Langlois, e che quando lo vollero sostituire nel ’68 a Chaillot -vecchia sede- si fecero le barricate e iniziò il Maggio Francese. Storia viva, non archeologia. Guardatevi i primi dieci, quindici minuti di The Dreamers di Bertolucci per farvi un’idea, poi, a parte per la piacevole presenza della protagonista, potete anche cambiare film. E insomma a venire qui oggi ci si sente un po’ più legati a questa città e alla storia. Ogni tanto c’è bisogno di darsi un senso, sentirsi “figli di”. Non ci sono film, è solo un pellegrinaggio, si toccano le pietre e si rimanda a domani. Un po’ freddino l’edificio, ma le sale devono essere fantastiche, non ci sarà il fascino della nebbia blu delle sigarette come nella vecchia Ciné, ma nemmeno il relativo cancro. Per non perdere il pomeriggio si va al Centre Pompidou, esposizione BigBang. Forte del mio pass entro ed esco dove e quando mi pare, mormorando tra me “mmmh, accesso illimitaaato” (il tono alla Homer non è capito dai francesi). Fingete per un attimo di avere un museo. Il Museo in Europa per quanto riguarda l’arte contemporanea. A un certo punto capita che dobbiate rinnovare il sistema antincendio. E’ un problema. Chiudere tutto per due, tre mesi? Perdere un capitale considerevole, ridurre centinaia di metri quadri a un piccolo spazio visitabile, privare una città del suo cuore moderno? No, ma come fare in alternativa? Se vi hanno dato la direzione del Centre Pompidou un po’ di ingegno dovreste averlo. Ragionate: le opere sono su due piani, divise per cronologia. E’ ovvio (!) chiudete il primo piano, raggruppate quasi tutte le opere al secondo in un esposizione non più cronologica, ma tematica. Stesse opere, un nuovo museo, nessuno che sia stato all’esposizione classica lo troverà ripetitivo, fate di una necessità un punto di forze e di rinnovamento. Una svolta esemplare, certo c’è tutto il lavoro di spostare le opere, di organizzare un percorso coerente, però ci pensate che faccia faranno al MoMa? L’esposizione è “Big bang, destruction et création dans l’art du 20° siècle” ed è davvero una novità. Divise in 8 macrotemi e diverse articolazioni trovate delle sale che mettono insieme Picasso e Pollock, Warhol e Giacometti, muscia pittura, video, architettura, letteratura. Vi serve un idea per un lavoro interdisciplinare? Venite qui e copiate qualche titolo. E’ troppo per un solo giorno. Intanto al quarto piano si lavora. Poi, a marzo, si chiuderà il quinto e si aprirà al quarto. Semplicità di un’idea geniale. Fate un altro esperimento mentale: siete un parigino conservatore: vi costruiscono questo mostro alla fine del Marais, vi domandate "Qu-est ce que c'est?" poi salite fino in cima, sulla terrazza panoramica, e ve ne innamorate.
Ne esco molto stanco, neanche questa sera uscirò, in compenso guardo “The african Queen” in attesa della Cinémathéque. Che dire, il-film-più-bello-che-abbia-mai-visto ? Non so, ma provate a mettere un regista geniale e due attori come Bogart e Katherine Hepburn su una barca a vapore che discende un fiume dell’Africa per affondare una nave tedesca durante la 1° guerra mondiale, e vedrete cosa succede. Un po’ Conrad, un po’ Fitzcarraldo. Lei nobile missionaria inglese che parte con cappellino e veletta, poi dopo aver disceso una rapida li getta entrambi (simbolo dell’educazione vittoriana abbandonata). Bogart che fa il comandante sporco brutto e un po’ violento, accento americano storpiato per fare il canadese. “Buono in ogni affare, specialista in niente”, un giornalista insomma. Lei che lo chiama sempre (anche dieci volte consecutive) “Mr Allnut” e svuota le sue bottiglie di gin nel fiume. Lui che risponde “Yes miss” e ogni tanto le fa il verso. Dopo un po’ giocano ad amarsi per finta, costruiscono gesti e rituali della coppia. Ma è solo perché sono letteralmente sulla stessa barca. Fingere di fingere non deve essere semplice per un attore, ma questi sono Attori. Poi alla fine..
Per vedere altre foto vai su flickr.

treiziéme jour

Seconda giornata di corsi. Inizio Sociologie des societées européenne. L'aula è cambiata e capito in un corso di Etnologia, ho un minuto di panico prima di capire che non è questo e arrivo nell'aula giusta. Saremo una ventina, almeno cinque erasmus. Effettivamente molto europeo come corso. Ci fornisce una serie di articoli già fotocopiati, dovremo preparare un esposizione orale e un riassunto ragionato. Si inizia parlando dei limiti dell'Europa, inizia dove, finisce dove. La riforma 3+2 a prima vista ha penalizzato anche la Francia. Nessuno sa dire “Poitiers” o “Turchi alle porte di Vienna”. Altre due ore sempre dello stesso corso, sulle teorie dell'azione nel contesto pubblico. Esco, torno al foyer, prendo un foglio e vado ad aprire un conto in banca, in Francia per il primo anno è gratuito ed è indispensabile per tutto. Per esempio per avere l'abbonamento della metro-bus. Ora ho un conto italiano e uno estero, c'è caso che incarcerino me invece di chi fa trasferimenti miliardari su conti fittizi. L'unico avvenimento del pomeriggio è una viennoise au chocolat da Paul. La sera non porta novità. A parte un libretto abbastanza banale sulla vita a Montmartre ai tempi di Picasso, una discussione sui diritti degli stranieri con una ragazza rumena che studia qui, ma ha avuto decine di problemi. Non ha ancora un'assicurazione sanitaria, non può lavorare senza, la burocrazia non l'aiuta. Nemmeno qui è il paradiso. La giornata più densa nella pratica: 4 ore di corsi, un conto in banca, un abbonamento alla metro; il post più corto. Parigi si gode nei tempi vuoti, negli spazi lisci (come li chiama Deleuze), nelle bolle d'aria.

Tuesday, September 27, 2005

douzième jour

Quando mi sveglio è ancora buio. Non sono troppo stanco e in una mezzora sono fuori. Faccio la carte orange per la metrò e arrivo puntuale, alle 8.30 alla Sorbonne, corso di “Vie quotidienne, imaginaire, Post Modernitè, professor M. Maffesoli, nonché nostro responsabile erasmus a Parigi. Si presenta in gessato, papillon e mont blanc. L’aula non è all’altezza, ma siamo in quindici circa. Qui posso seguire i corsi di Master e il salto di qualità (per numero di studenti e contatto con i docenti) è impressionante rispetto a una triennale. Durkheim, Durand e Maffesoli in bibliografia obbligatoria, altri dieci tra gli opzionali. Un’ora e mezza senza pause, anche questo migliore delle due ore con la mezz’ora di pausa di Bologna che non ho mai capito. Forse è legato al rito del Caffè: un quarto d’ora più tardi la mattina per il cappuccino e un quarto d’ora di pausa per l’espresso. Finita la lezione io e Sonia fissiamo un appuntamento alle 16 per parlare del nostro piano di studi. C’è tempo di tornare a casa, pranzare (insalata, patè de campagne) e ritrovarsi alle 15.30. Il pover’uomo abita in rue Curie, a dieci metri dalla Sorbonne, a cinque dal Luxembourg e riceve a casa sua. Sesto piano di un edificio Art nouveau. Ci fa accomodare in salotto: pareti di libri, moquette, scrivania in legno con tanto di teschio, foto di Nietzsche, Heidegger e Weber. Noi seduti sul divano di pelle, lui su un seggio in legno con leoni alla fine dei braccioli. La Santa Inquisizione direte voi. E invece no, nonostante il classicismo dello studio un uomo affabile, disponibile al dialogo e molto, molto indulgente. Ci dice che possiamo fare ciò che vogliamo, se va bene alla burocrazia allora va bene anche a lui, non è necessario fare solo esami di Sciences Sociales, Parigi ha molto da offrire (ah si?). Non fate troppo, godetevi la città, dove abitate? Per l’esame potete preparare un petit memoire di una decina di pagine. Grazie, a presto.
Questo toglie un discreto numero di preoccupazioni su “Quali esami fare, dove trovarli, cosa convalidare, come fare?” E’ bello risolvere problemi. Mi premio con una “pomme de terre”: involtino di cioccolato-cacao-burro-canditi avvolto da cialda coperta di cacao. Consigliato dai migliori dietisti. Passo in banca a prendere un appuntamento per aprire un conto e poi al Centre Pompidou per fare il pass annuale: tutte le esposizioni, tutto il cinema, accesso preferenziale dalla piazza (che è quasi la cosa più importante). La tessera me la fanno sul posto, con uno di quegli aggeggi che stampano carte plastificate, foto inclusa. C’è in corso un’esposizione sulle rivoluzioni nell’arte del 900, a partire dalle collezioni del museo disposte non più in ordine cronologico, ma tematico (decostruzione, distruzione, sesso, guerra ..). Il Time ne parlava come di un avvenimento. In effetti può essere l’inaugurazione di un museo à la carte: ridisporre ogni tre mesi le opere secondo criteri nuovi. Si creano nuovi percorsi, nuove sintassi e significati. Da ottobre inoltre una mostra sul DADA, conferenze su Godard, Deleuze, una retrospettiva su Scorsese. E il naufragar m’è dolce.
Altra serata senza accadimenti, scrivere ogni giorno -anche cronache banali- richiede un po’ di dedizione. Mi sto esercitando a una scrittura veloce, sincopata; colori semplici, tono su tono, descrizioni concrete. E pensare che amo Proust.

Monday, September 26, 2005

Onzieme jour

Mi alzo con un programma - e delle madeleine. Tre mercati, due studenti, un solo scopo: trovare una bici usata a poco prezzo. Porte de Montreuil, Porte de Glignancourt, Porte de Vanves i mercati. Io e Johannes (ted.) gli studenti. Impossibile l’obiettivo. Porte de Montreuil è il più grande mercato delle pulci di Parigi. Molte pulci in effetti. Vecchi mobili, materassi, compressori, ruote, scarpe, vestiti, sigarette, orologi, niente cibo. Bici usate al prezzo concordato di 60 euro. Troppo. Lo studente erasmus è povero, per definizione, non per capacità reali. Per il resto preferisco i mercati alimentari di Belleville o quello dei libri del parco Brassens. Camminiamo tanto e parliamo tantissimo in francese, che nobilita anche i discorsi più banali. Dopo aver troppo camminato ed esserci rassegnati a noleggiare una bici all’occorrenza ci concediamo il jardin de Luxembourg. A Parigi è arrivato l’autunno, stagione che le dona molto. Seduti sulle sedie di ferro smaltato di verde, intorno alla vasca con i pesci. I bambini si sporgono dicendo “Regardez! C’est enorme!” Gli alberi sono tagliati geometricamente, spugne rettangolare sporcate nella tavolozza dei rossi e dei marroni. E’ la stagione dei maglioni leggeri, dei pantaloni di velluto, di una sciarpa gettata sulle spalle. Oggi però basta ancora la maglietta. Johannes mi chiede se ho un libro. Certo, tu? Sempre. Questo è buon e giusto, ottima compagnia quella che prevede la solitudine della lettura. Leggiamo un po’ poi lui se ne va a incontrare un amico. Finisco le lettere Persiane -finale alla Stendhal, un millefoglie di voci che si accumulano e una soluzione tragica, inattesa che tira un calcio al castello di carte che ci si era costruiti-. Poi vado a sedermi al bordo del lago centrale, i bambini spingono i loro bateaux a vela con delle canne o dei bastoni di legno, bordeggiano per un po’ lungo l’argine poi li lanciano. Ne aiuto uno che ha dei problemi a recuperare il mezzo. Io lo tengo, conto “un deux trois” e lui lo lancia, corre via con un “Merci Monsieur”, mi sento felice come se vedessi mio figlio giocare, o come se fossi io. Con i bastoni non si picchiano, al massimo tracciano dei disegni per terra. Me ne vado, penso di rientrare a casa, ma è presto per abbandonare quest’aria pulita, questi polmoni nuovi. Le gambe non sono stanche, mi sento un fantasma che attraversa un’umanità felice. Rue de la Hucette, dietro Shakespeare and Co. è piena di gente e di cucine diverse, davanti a Notre Dame c’è la festa dei giardini di Parigi.
E’ ancora presto, non voglio lasciare questo buonumore. In fondo, anche senza star male, sono poche le occasioni in cui si sta veramente bene. A volte da soli, a volte in due, raramente in tre, mai in quattro. Arrivo a Pont Neuf sul lungo Senna, eleggo il mio palazzo preferito (più basso degli altri, tetto marrone, camini che si allungano a raggiungere gli altri), ma non ho con me la macchina fotografica. Salgo, trovo Place Dauphine. Siamo in un film, un appuntamento sulla panchina, la gente che guarda invidiosa bevendo vino, foglie rosse che cadono avvitandosi. Non si sente il traffico, la camera inquadra gli alberi da un’altezza media, poi si alza a volo d’uccello e si tuffa nell’Ile. Davvero la piazza è fuori dal tempo, l’aria è più rarefatta, i colori più netti, ci tornerò, oggi non c’erano tavoli liberi per un verre de rouge.
Adesso torno a casa, la serata passa senza accadimenti: mangio formaggi, scrivo qualche mail, bevo una birra e un altro giorno è andato. Preoccupazione prima di addormentarmi: domani comincio, che esami potrò fare, riuscirò a saperlo? Capirò qualcosa?

Sunday, September 25, 2005

dixieme jour

E’ arrivata la brutta stagione. Come un cambio netto di salinità in mare. Ieri si pranzava all’aperto, ci si stendeva sull’erba. Oggi una coperta di fumo grigio nasconde il sole, stasera pioverà. Ovviamente questo chiude delle possibilità, ma ne apre molte di più. Tè bollenti su divani di velluto, fino a ieri impraticabili, cioccolata, giornate chiusi in un museo senza colpe, studio.
La mattina passa senza accadimenti, esco a fare la spesa, compro un po’ di formaggi: camembert, cabecou, chevre. Ho deciso di sperimentarne un buon numero durante l’anno. Piatti veloci, freschi, leggeri. A pranzo le italiane si fanno chef e dirigono dei lavori di costruzione pasto italiano. La pasta francese non collabora, ma il risultato è comunque buono. Fusilli, pancetta, zucchine.
Al pomeriggio decido di andare alla biblioteca del Centre Pompidou. Tre piani aperti, internet, giornali. Nessun libro può uscire, quindi si trova tutto. Silenzioso, conciliante. Un po’ troppa gente che passeggia, ma si può scegliere un posto strategico. Peccato che la cafétéria sia in appalto alle macchine automatiche, i croissantes implasticati, l’ambiente freddo. Leggo un po’ di Deleuze. La ricerca della complessità a tutti i costi, si inventano parole, si complica la linearità. Ma è lo scopo del saggio, intitolato “Rizoma”, contro le ripartizioni binarie, le linee di relazione, il significato sottomesso al potere. Come mi dissero “E’ Deleuze. Prima devi sbatterlo contro un muro, poi diventa bello”. E’ vero, bisogna farsi conquistare, perdere una logica e seguirne un’altra. E’ un pazzo, e questo è chiaro, ma molto affascinante. In francese poi, non vi dico.
Esco, mi promeno un po’, leggo dell’Italia. Ho comprato Liberation, in prima pagina la riapertura della Cinémathèque française lunedì dopo alcuni anni. Non so se la mia sia fortuna o una trappola prima della disfatta a vita. Comunque c’è un pass mensile per vedere Tutto a 10 euro, l’edificio è di Ghery, la programmazione è serrata. Anche al Centre c’è un pass, 22 euro annuali, tutte le esposizioni, tutti i film, accesso riservato dalla piazza (ovvero: non si fa la fila).
La sera Camembert, insalata e cabecou. Poi guardiamo un mio dvd: Dancer in the Dark. Terribile, straziante. Restiamo in tre a vederlo, oltre a me Robert, tedesco, e X, ungherese. Occhi rossi per tutti alla fine. Bello, bellissimo, ma da star male. Ieri sera tristi per l’economia, stasera per il film. Fortunatamente prima di andare a dormire ridiamo un po’ mentre cerchiamo di salvare un ragazzo che è rimasto fuori dopo la chiusura del Foyer, parliamo con lui dall’apertura per la posta, andiamo a chiamare la permanenza notturna -incarnata da Sophie- e lo sventurato entra. Buona notte.

post bonus

Chi entra in rue des Rosiers lo fa a testa alta, per vedere i colori dei tetti, i fiori alle finestre e i nomi degli incroci. Subito però è costretto a chinarsi: non aveva visto quella porta dietro la grondaia verde, scambiata per uno sportello del gas. Ha dimenticato la lingua di quel ristorante a fianco dell’edicola. Ne ha imparata un’altra che ha caratteri d’oro e si legge a spirale.
Per entrare in quel bar deve salire una scala e attraversare una fune. Qui deve cambiare le scarpe, per non rovinare il pavimento nuovo. Là rinnegare una religione e adottarne un’altra, se vuole comprare quel vaso. Si vende per dieci cammelli e si riacquista per un pugno di zafferano. Non esiste uomo che esca di qui avendo mantenuto la propria moda e i propri gusti alimentari.
Ma non provate a ritornare nello stesso posto. Ogni notte gli abitanti traslocano, bruciano le insegne, ne dipingono di nuove. Mutano i menù, gli indirizzi, i nomi delle strade e dei figli. Le combinazioni sono talmente usate che spesso il cambiamento è tanto radicale da rimettere tutto allo stesso posto. Altre si inverte la simmetria o si ruotano i punti cardinali. Ritornando troverete il vostro tavolo a destra, il sole a mezzogiorno sarà nascosto da un lampione. Darete la colpa all’orientamento o alla memoria. Chi penserebbe di trovarsi a mille chilometri dal posto originario?

Saturday, September 24, 2005

neuvième jour

J’ai une velò. Je n’ai pas le cours de langue. Più in dettaglio: il tedesco dipartito mi ha lasciato in eredità una bici di un ragazzo che tornerà a Parigi tra tre settimane. Non vado al corso di francese perché alle 11 c’è una riunione all’Università. Colazione chez moi (madeleine e succo d’arancia) e parto alla conquista del mondo a bordo della mia poderosa mezzocilindro rossa, sgonfia e bassa. Una porche a Bologna, un ronzinante azzoppato a Parigi. Il traffico -che qui credono impraticabile- è invece molto più disciplinato. All’andata rue de Charonne è in discesa, sfreccio tra boulangeries e cassette di frutta, siamo a metà tra il Marais e Belleville. In quindici minuti sono in rue de Fourcy e attraverso l’Ile Saint Louis. Mi compiaccio di ciò con una foto alle terga di Notre Dame. Ogni tanto ho bisogno di prendere coscienza della cosa, mi fermo, chiudo e riapro gli occhi, cerco di fare entrare più immagini. Non vale la pena di appuntarsi tutti i nomi dei posti “qui ci devo ritornare”, ho deciso di farlo solo in casi eccezionali. Rue du Cardinal Lemoine (ricordo di Festa mobile), rue des Ecole e la Sorbonne. Dove sarei potuto passare per giorni implorando un ingresso, pensando ai soliti fortunati, oggi ho una riunione. Anche se non imparo niente ne è valsa la pena. A Parigi sai sempre che puoi fare di più o diverso. Visivo, uditivo, meditativo. C’è un vestito mentale per ogni giornata, un guardaroba di abitudini per ogni occasione. Gli scienziati sono alla ricerca di quel tale che un giorno è stato ascoltato mentre diceva “non trovo quel libro” o “non c’è un posto in cui..”. Babele non è stata distrutta, il monumento all’ambizione umana, l’accumulo di miliardi di pagine, fotogrammi e zuccheri non si è mai fermato, ognuno porta qualcosa, in un senso o nell’altro.
La riunione, coordinata da una donna -quindi molto meglio riuscita di quella del Master di mercoledì- presenta i corsi e i professori. C’è una predominanza maschile netta che mi delude un po’. L’età media tende al livello sequoia, il tasso di ironia e bon ton (ognuno conclude con “Merci”) è alto. Nessuno applaude agli interventi, finalmente. Il professor Gaudard mi conferma che anche per gli erasmus ci sono possibilità di stage. Gongolo. Mi chiede se sono tedesco. No, Italiano. Ma non hai l’accento italiano. Compiacciomi. Da quando sono qui mi hanno dato dello svizzero, dell’Olandese e del Tedesco. Meltingpottomi. Uscito, recupero il mio bolide- ah se il Che avesse avuto questo sulla Panamericana- e vado a pranzare con altri colleghi al Jardin du Luxembourg, verso il Jardin du Cavalier de la Salle, dove ci si può sedere sull’erba. Vista magnifica, baguette, insalata.
Sulla via del ritorno trovo due negozi di bici nuove e usate. Le usate a 190 euro e la fatica fatta per tornare a casa mi fanno rivedere i miei progetti. Proverò ai mercati periferici; una buona idea sarebbe lasciare una base mobile in centro da raggiungere in metro. Questo se il prezzo di un possibile furto non fosse elevato. Ritorno attraverso il Marais, passando per place des Vosges, e arranco per rue Charonne, questa volta in salita. Ansimo fino al quinto piano. Doccia, cena. “Usciamo?” una coalizione franco-tedesca mi trascina nuovamente a Montmartre, non faccio resistenza. Bordeaux, musica e luci dal Sacro cuore, passeggiata per Place de Tentre e ritorno in Foyer. Chiacchierata finale in camera mia, l’unico senza coinquilino. Si incrociano dati italo-tedeschi sul destino europeo. Pochi vorrebbero restare nel proprio paese, nessuno ha una buona economia, l’Italia è a zero prospettive, la Germania un progetto mancato. Si conclude che comunque da noi la situazione è disperata, che la Costituzione Europea bocciata è stato un brutto colpo, che in Germania purtroppo non c’è un cancelliere e in Italia purtroppo c’è. Nessuno crede che i nostri magistrati siano attaccati dalla politica, tutti credono all’influenza del Vaticano. Ce l’abbiamo noi, ce l’abbiamo noi.

huitieme jour

A Parigi è piena estate, mi sveglia un cielo azzurro teso, senza pieghe. Sono ancora in camera da solo, non ho ancora iniziato i corsi. Sono in un limbo in cui si passeggia respirando l’odore del pane. “Verrà il giorno..”. Mi sembra di essere qui da molto più di una settimana, solo la lingua ancora incerta mi serve come clessidra. Oggi sarà una gran giornata. Arrivo in anticipo a Saint Péres e cammino un po’ prima di salire, mi fermo a guardare le stampe anatomiche di una vecchia libreria di medicina con l’insegna verde. Compro Repubblica, e penso che il governo non cadrà nemmeno questa volta -di T. che torna ministro non voglio neanche parlare, affari vostri-. Dopo il corso qualcuno mi invita al Luxembourg, ma rimando a domani, ho già un obiettivo: il Marais. Tre giorni a baguette o insalate sono una buona scusa per mangiare qualcosa di buono. Arrivo a Saint Paul e prendo rue Pavèe. Proprio oggi ho lasciato a casa cartina e guida, sono in esplorazione. Rue des Francs Burgeois sarebbe già l’attrazione in un altro quartiere, ma qui c’è di meglio. Strade più piccole, vicoli su cui i balconi si sporgono portandosi dietro le facciate. E’ un ghetto particolarmente riuscito, in cui si alternano cucine e religioni. Molti ebrei, alcuni arabi. Negozi piccoli e barocchi. Tutto il mangiabile in 20 mq. Gli odori lottano per armonizzarsi e le insegne avvisano se quello che si vende sia religiosamente assumibile: tipo “piace anche al rabbino capo” oppure “Kosher Pizza”, dietro una facciata verde pastello, con porta a vetro oscurato e rete metallica al posto della vetrina. Solo la morte potrebbe impedirmi di tornarci. Rue Vieille du Temple è un fiume capolavoro con tanti piccoli affluenti ancora migliori: rue du Tresor, trappola senza uscita con due schiere di ristoranti, e rue Cloche Perche, una terrazza rialzata su rue de Rivoli, con due ristoranti e un barbiere. Alla fine di Rue de Guillemites, c’è Notre Dame des Blancs Manteaux, all inclusive con giardino di salici.
In Rue de Rosiers, oltre al ristorante di Joe Goldberg, ci sono alcuni piccoli bistrot che promettono di cambiare menù ogni giorno, li tengo buoni nel caso non trovi di meglio. E di meglio arriva, se non Il meglio. In Rue de Sevigné vedo sulla destra, in fondo a un vicolo, degli alberi, uno spazio aperto. Provo a raggiungerlo e mi ritrovo in Place du Marché de Sainte Catherine, evidenziatissimo sulla mia guida rimasta a casa. Accolgo con piacere questo segno del destino -lo stesso spirito che mi ha consigliato il posto mi starà guidando- e decido di fermarmi qui. Cercate di capire: a pochi passi da rue de Rivoli, dai negozi, dalle sedi delle aziende c’è una piccola piazza quadrata, con quattro alberi. Senza alberi sarebbe un incrocio. Ai quattro angoli quattro ristoranti: kosher, tailandese, brasserie e francese. Quello francese si chiama “Belle Histoire”. Sedie di ferro smaltato e tavolini richiudibili, menù del giorno sulla lavagna. Ciondolo un po’ in giro poi mi siedo qui. Nella capitale d’europa ci si sente come in un paese di mille abitanti, manca giusto una fontana perché sia il centro di un villaggio. Opto per l’opzione entrée e plat. La prima è un “crostillantes de chevre chaud”, prima che arrivi sento già la condanna per golosità-lussuria (qui si sconfina). E’ una rotella di chevre fatta rosolare con un po’ di pane grattato e olio, su un insalata con vinaigrette. E baguette croccante, ovviamente. L’impanatura leggermente croccante copre la pasta corposa del formaggio caldo, avvolto dalla propria scorza. C’è da innamorarsi. Il secondo sono delle fettine di maiale al miele, con delle zucchine sotto crosta di formaggio. Mi cambiano le posate e il cestino del pane, me ne spetta uno a portata. Miele e maiale gareggiano a chi sia il più dolce e le zucchine neutralizzano il sapore altrimenti troppo forte. E’ una cucina che vela (il pangrattato, il miele, il formaggio) per lasciare il gusto di penetrare la superficie, e aggiungere un gusto più delicato, esterno, rispetto al corpo del cibo. Mentre mangio una donna africana, magra e vecchia, con un vestito a fiori passa per i tavoli (tre) per offrire la lettura della mano. Non voglio conoscere il mio futuro, il presente mi basta, con qualche modifica non ne vorrei affatto di futuro, ora. Caffé. Il conto mi conferma che avrei potuto mangiare due volte da Mcdonald’s, c’è da ragionarci su.
Certo, se uno torna subito a casa cade in depressione, ma rue de Sevigné è proprio li, con il museo Carnevalet, le sue stanze, i soffitti, i pavimenti in legno, la camera di Proust. Il giardino, che si raggiunge da una via perpendicolare è il luogo migliore per leggere. E’ un giardino interno al palazzo, con una colonnato a destra, delle aiuole al centro e le facciate del palazzo ricoperte di edera e di vite americana dalla testa ai piedi. Romanzo: lei nobile e ricca si innamora del giardiniere più giovane. Amore, “vorrei ma non posso”, intrighi e reputazione da salvare, un morto nascosto dall’edera sulla panchina bianca di destra.
Vado a prendere l’autobus a Saint Paul. Non è un’attesa, è un corso di sopravvivenza alle tentazioni. A destra una rosticceria con odore di pollo arrosto e circa mille cosce in esposizione, a sinistra “Le duc de canard” negozio delizioso di foie gras e salse francesi, con tanto di musica e anatra in terracotta all’entrata, qualche metro più avanti in successione “atelier chocolatier” “le maitre du fromage” e un negozio di vini. Salgo sull’autobus senza comprare niente e ho un buono per entrare nell’ordine francescano, altro che tentazioni di satana.
La sera bisogna uscire: è l’ultima sera del ragazzo tedesco. La Tour Eiffel, vista dal Trocadero è ancora più bella, anche gli Invalides sono illuminati. Una giornata intensa si merita di finire con centinaia di lampadine che lampeggiano a intermittenza. Si ritorna a casa dopo aver passeggiato per gli Champs Elisée. Qualcuno ha fame, si cucina qualcosa, i due tedeschi mangiano pasta e io offro la sauce picante che ho portato dall’Italia (dalla Romania in realtà). Sì sì, sì sì. Li avviso più volte di non esagerare. Sì sì. Mangiano e restano a bocca aperta, finiscono tutto con gusto, non so se perché gli piace o per orgoglio. Tutto sommato una giornata passabile. No?

Thursday, September 22, 2005

Septieme jour

Ci sono anche giorni in cui c’è poco da raccontare. Solito mercato-e pain au chocolat, bien sur-, solito autobus solito corso. Dopo il corso una riunione sui corsi, un giro alla Sorbona. La sola Paris V ha 32.500 (trentaduemilacinquecento) studenti. Si capisce perché il segretariato non sappia cosa fa l’ufficio relazioni internazionali, sociologia non sa cosa fa linguistica, i fogli con i corsi siano finiti, nessuno sa quando si inizia e dove, che corsi ci sono. C’è di buono che qui i corsi continuano se funzionano, se no vengono cancellati, e il piano di studi si rifà. Sarà perché non amano l’anglofonia, ma nemmeno internet sembra godere di buona fama. Tutto su carta, tutto più complesso. Rimbalzo un po’ in giro per spiegare che voglio un melange di Sociologie e Sciences du langage. A sera ho finalmente -quasi- tutto quello che mi serve. Sguazzo un po’ in piscina prima che chiuda, mando qualche mail e dopo cena abbozzo un piano di studi. Chi non vuole leggere della nostra reputazione all’estero salti le [..]
[A cena si parla di politica tedesca, del risultato delle elezioni e del fatto che una coalizione Spd-Cdu potrebbe immobilizzare il paese. Sono tentato di buttare lì qualcosa su Berlusconi per animare la situazione, ma taccio -se non lo dicono loro, mica fesso. Ma ecco, puntuale come una crisi di governo il tedesco cala su di me come grandine dal cielo “E toi, qu-est ce que tu penses de Monsieur Berlusconi?” Eccoci. “Avant tout je pense qu’il ne soit pas un Monsieur”. Si finisce a parlare di B. Tutti ridono, io mi metto solo le mani sulla faccia. Sanno del trapianto di capelli, dicono che hanno molte notizie in tv su B. “je peux bien comprendere pourquoi!”. Padre mio, padre mio, perché mi hai abbandonato?
Corsi che hanno un bel nome: “Sociologie des sociétés européennes” e “Vie quotidienne, imaginaire et postmodernité”. C’è la possibilità che possa scegliere qualche corso da filosofia -che alla Sorbonne…. Chissà!
Risolleviamo il livello dello scritto con Montesquieu “Si dice che l’uomo è un animale socievole. Sotto questo punto di vista, un francese mi pare più uomo di un altro, è l’uomo per eccellenza, perché sembra nato unicamente per la società; e ho notato fra loro individui che non sono solo socievoli, sono addirittura la Società Universale. Si moltiplicano in tutti gli angoli, popolano in un momento i quattro quartieri della città [..] agli occhi di uno straniero potrebbero colmare i vuoti della peste o della carestia.” (Lettere Persiane, lettera LXXXVII)

Wednesday, September 21, 2005

sixieme jour

Dalla mia biografia futura, postuma, non autorizzata:
“Era dura in quei giorni. Svegliarsi presto era l’ultimo dei problemi. Una colazione veloce, alcuni documenti a caso dentro uno zaino, una breve sosta in edicola e poi l’autobus. Oltre Bastille, oltre il Marais, si fermava tra Pont Neuf e il Louvre. Attraversando la Senna la mattina pensava a quella poesia di Wordsworth che parla di una Londra ancora addormentata, una Londra-Natura. Parigi non dormiva, la Senna distruggeva e ricreava il suo letto ogni notte, per niente contrariata che intorno a lei si costruissero case, si scrivessero romanzi, si bevesse bordeaux. Le sarebbe bastato poco altrimenti ad affondare l’Ile piuttosto che fornire uno specchio al grigio dei ponti e alle macchie del sole. Tutto questo passava per quella fulgida mente del nostro secolo mentre attraversava Quai Conti e arrivava a Saint Péres. Le cronache tacciono su cosa avvenisse là dentro, niente più che un corso di francese si ha ragione di credere. L’unica congettura autorizzata dagli scontrini di quel periodo è che nella cafétéria si vendessero pain au chocolat e pain aux raisines che erano lontani dalla normale pasticceria come il paté dalla simmenthal. Sulla nota “una pasta fragrante, umida e leggermente elastica, che opponeva una piacevole resistenza e si sfogliava in bocca” gli esperti sono al lavoro per determinarne l’autenticità.
Il pomeriggio del secondo giorno di corso poi, è da tutti conosciuto per essere l’argomento del romanzo “Un jour dans les fiches”, flusso di coscienza di uno studente alla ricerca di fogli d’iscrizione, fototessere, tessere studentesche, corsi e orari. Come tutti saprete il filo conduttore dell’opera sono le riflessioni su come tutto questo si potrebbe evitare con il semplice utilizzo delle tecnologie informatiche. Erano giorni duri, ma per riprendersi bastava entrare in una libreria di rue des Ecoles, o, per cancellare ore di stress, alla libreria J.Vrin, in place de la Sorbonne. Era un piacere passeggiare tra gli scaffali di filosofia, tra libri dal dorso bianco sorvegliati dai tomi più anziani in alto. Lo sconto con la tessera studenti, appena fatta, lo spinse all’acquisto di “Mille plateaux” di Deleuze e Guattari, éditions de minuit. Carta di qualità, buona rilegatura, copertina minimalista e il giusto peso. Niente di meglio. I guadagni della giornata, giunti fino a noi, sono la tessera di studente a Parigi e quella per la Citè.

La sera poi, finalmente, il Nostro aveva l’occasione di uscire con altri studenti Erasmus. La prima uscita era stata Montmartre, una baguette e del vino sulla scalinata del Sacré Coeur, a parlare di progetti, piani di studio, Francia, formaggi e musei. Ore 7: sei italiani, e otto tedeschi. Alle 7.15 solo tedeschi e un italiano. Le compatriote sono andate a bere qualcosa da sole. Le registrazioni dell’epoca evidenziano come il loro francese fosse terribile (“Ge vudre saver ù è, cioè, u se truv…”). Poco male.
Testimoni oculari raccontano che la serata finì a chiacchierare in un bar di Montmartre, vicino a Pigalle, sempre delle stesse cose: tu dove abiti quanto spendi cosa studi quanto tempo resti? Alle 10.30 il Nostro si ritira e con l’aiuto di Montesquieu cade in un sonno dolce e senza accadimenti.”

Tuesday, September 20, 2005

cinquieme jour

Spunti per una lingua internazionale. Come si dice un mucchio di carte da riempire, un gioco a rimpiattino tra uffici e bacheche, una confusione burocratica e istituzionale, una ridda di timbri firme e controlli incrociati? /Eramsus/.
Perché va bene abitare in una delle (La?) città più belle del mondo, ma bisogna anche meritarsela. Se la mattina vi siete svegliati con una brutta sensazione, mille domande tipo perché sono qui, cosa faccio, ma-perché-non-me-ne-torno-a-casa, ma è proprio necessario mettersi in piedi. Se poi scendete per colazione e il caffè fa schifo, cioè non è caffè e fa schifo anche come non-caffè. Se poi perdete l’autobus, andate in metro, pensate di essere vicini, ma vi sbagliate, dovete camminare mezz’ora, trovare il palazzo giusto, il tutto per seguire un corso di francese… bè allora forse riempire moduli e fare un piano di studi non è proprio quello che chiedereste per il pomeriggio.
Si d’accordo che la tristezza da risveglio è un classico, la lista dei pro e contro ad alzarsi pure (a proposito: contro: nessun appuntamento importante, no cinema, no musei in vista, niente occhi color nocciola; pro: 75000). Vi concedo anche che la colazione sia prevista dal Foyer e il latte sia buono. Ed è vero che “essere lontano” significa scendere a quai de l’Hotel de Ville, camminare sulla senna, girare in Boulevard St.Germain e arrivare al dipartimento in rue Saint Peres, davanti a una cioccolateria. Persino il corso non è male, vi dicono che parlate bene e siete in un buon gruppo. Ma un pomeriggio al Beaubourg invece che a riempire moduli, no? Oui, bon…riempire moduli “al Jardin du Luxembourg “ è più corretto avete ragione.
Il caffè resta comunque cattivo e le italiane al corso -4 su 5- evitabili (avete presente il tipo che parla in italiano anche con gli stranieri, poca educazione poca ?). Il gioco è cominciato, corsi di lingua e di sopravvivenza. Al pomeriggio si portano dei fogli di qua, si sale di là, si consegna, fotocopia, riempie. Qua c’è la moda delle buste timbrate fornite dall’interessato. Con l’altra ragazza Erasmus di Bologna (Sonia) conosciuta qua concordiamo prima di tutto di sentirci solo per utilitarismo (uscire con francesi, scrivere al tutor, notizie sui corsi) poi ci incoraggiamo a vicenda per i moduli d’iscrizione. Mi dà un’informazione fantastica: c’è -forse- la possibilità di fare uno stage qua, magari in un museo, ma è un’ipotesi troppo lontana, non mi sbilancio che poi ci credo anch’io. La giornata termina con un tè e un gateau royal le cui calorie sono quelle assunte da tutta la popolazione del Trinidad in un anno. Cena cattiva, poco Montesquieu, molte mail, buoni propositi per svegliarsi alle 7 e andare in piscina -metto la sveglia, ma non ci crede nemmeno lei.

quatrieme jour

Diario del capitano. Quarto giorno, il giorno più lungo. Stile regolato sulla velocità della giornata. Mi alzo la mattina decido che non faccio colazione vado prima in piscina, sono in vena di salutismi, giro per la stanza raccogliendo quello che mi serve: nel borsone; scendo, la piscina è a 5 metri (non esageriamo con lo stacanovismo!). “Vous avez la piece d’un euro?” No, non ce l’ho, non posso usare l’armadietto. Torno a casa, trovo un euro, ritorno. Ce l’ho. Bisogna cercare uno spogliatoio, cambiarsi, fare la doccia. Fermarsi per ricapitolare l’ordine delle azioni, cosa porto dentro, le ciabatte, l’asciugamano, il bagnoschiuma. E’ incredibile come sia difficile fare cose semplici per la prima volta. Entro, scelgo una vasca gli occhiali si appannano dopo due bracciate. Ricordi di quando andavo in piscina da piccolo, la puzza di cloro, le ciabatte, la gente più veloce e quella più lenta, i genitori che aspettano fuori, la voglia di essere altrove. Al mare però ero un pesce patentato. Se c’è qualcosa da vedere allora sì. Dopo 45 minuti sono fuori, ma ho nuotato parecchio e ho notato che le piscine in Islanda sono più belle, le docce anche. Qui ci si bagnano i calzetti.
A casa dico “Mon dieu!” oggi è la giornata del patrimonio in Europa. L’eliseo, la decouverte, il Louxembourg sono aperti alle visite. Punto al Luxembourg, ma vado all’Elysee. Capita di decidere qualcosa e fare altro, sono le gambe a scegliere, poi voglio andare al cinema e penso sia il percorso più semplice. Tutta la Francia oggi è a Parigi, 3 ore di coda ell’Eliseo, 2 alla Decouvert. Non voglio fare il turista, non faccio code, non ne ho voglia. Dopo il nuoto e una madeleine mi viene fame, mi trascino nel quartiere latino, passando per place de la Concorde e Bld. Saint Germain.

Trovo la Brasserie Lipp, dove andava Barney Panofsky, ma deduco fosse già ricco, non è abbordabile, per ora. Cammino, molto. Malsana voglia di mangiare cinese. Mi trattengo in parte, evito i fritti, scelgo un luogo pulito. Ravioli bolliti e un riso jenesaisqua. Mi piace il sapore di quel pastone indefinito che invita a non cercare ingredienti. Non lo consiglierei a nessuno, non lo mangerei neppure, potrei fare una conferenza contro il cibo cinese. Ma mi piace, tant’è. Una cucina compatta senza legami regionali, una sorta di coazione a ripetere nei confronti di ciò che fa male ed è bello così. Rischio recensione culinaria.
Tento al Senato-Luxembourg. Fila incredibile, ma una va molto più veloce perché entra dal giardino. Ci provo. In mezz’ora sono dentro. Visito uffici e sale di ricevimento, salgo scale d’onore, misuro saloni.
E’ ricco, non volgare, fiorentino (ordinato da Maria de Medici), meno rosso del Palazzo ducale di Venezia, ma altrettanto dorato. Corridoi da Reggia di Caserta.
C’è un clima di estrema dignità, magari qui dentro succedono cose peggiori che in Italia, ma i muri respirano democrazia, i valletti spiegano l’ordinamento politico, la biblioteca è appena fuori l’emiciclo. Invidia. Dalle finestre si vedono i bambini che gareggiano con barche di legno nel lago del giardino. Invidia doppia per i bambini. Velocizzo un po’ per andare al cinema.
Proiezione delle 4.30: Charlie and the chocolate factory. In inglese con sottotitoli francesi. Dio come mi sento europeo. Ho grandissime aspettative. Sbagliato. Tim Burton è più bravo con i toni grigi che con la plastica. Troppo mix tra digitale e ripresa tradizionale. Trama confusa, buonismo da Natale, ma senza la poesia di Edward(per altro citato). L’originale con Gene Wilder aveva una sua grazia naif, voleva essere un film per bambini, ma era psichedelico, nonsense, folle. Migliori le canzoni, migliori gli Oompa Loompa (qui ce n’è uno riprodotto in digitale). Il padre dentista…ma vi prego. Peccato. P.s. rischio più volte di addormentarmi, ma non è colpa del film.
Ritorno a casa ed è il momento dell’haute cuisine, in mezzo a gente che mangia kebab o minestre riscaldato io mi preparo una chevre chaud con il formaggio comprato ieri, insalata e vinaigrette. Alla faccia loro. Puzza una po’, ma il gusto è superbo. E baguette appena sfornata bien sur. Invidia, questa volta nei miei confronti. Leggo Le Monde sulle elezioni in Germania e cado come corpo morto cade.

Sunday, September 18, 2005

troisieme jour

Il terzo giorno c’è chi resuscita e c’è chi va da Decathlon. Mi sveglio tardi, mi rotolo nel letto, scricchiola. Fuori ci sono nuvole pesanti. Richiudo la tenda. Ancora scricchiolii. Avanti, sei a Parigi. Mi alzo mi vesto faccio colazione con madeleine e succo d’arancia. Je sort pour aller acheter un maillot de bain… inzio a parlarmi in francese, ça c’est bon. Dopo due giorni di vane ricerche (così per le ciabatte, l’asciugacapelli, una bici) vado in periferia da Carrefour e Decathlon. Non sono troppo lontani, a port de Vincennes. Mi risparmio la cronica dello shopping, trovo tutto senza particolari difficoltà e torno a casa, stanco. Esco di nuovo. C’è ancora il mercato qui davanti. La disposizione è quella del mercato alle ramblas di Barcellona, una grande zona pedonale al centro e due corridoi per le macchine. Si vende di tutto, ma quello che mi colpisce, oltre all’odore di zuppe di cavolo preparate sur place, è la quantità di formaggi. Prendo dei piccoli chevre del Perigord da mangiare domani, assaggio con gli occhi tutto il resto. Poi non resisto alla tentazione di dire “un pain au chocolat s’il vous plait” e lo tengo per più tardi. Questo è un quartiere meticcio, non siamo poi così lontani da Belleville, ogni metro c’è una specialità diversa. Le sfumature si confondono con gli odori forti della cucina indiana, quelli esagerati della cucina turca e l’odore aspro della Cina. C’è un banco con un piccolo maiale steso, la pancia sgonfia e tutti i suoi prodotti disposti davanti. Per garantire che non hanno fatto molta strada. Quanto costano le pesche da voi?
Rientro in camera e scrivo qualche mail, leggo un po’ delle Lettere persiane di Montesquieu, a proposito di Parigi: “I viaggiatori ricercano sempre le grandi città, che sono una specie di patria comune a tutti gli stranieri”. Il Pain au chocolat è soffice, leggermente unto, non lo porto alla bocca come una brioches, ne stacco dei piccoli pezzi, ne sento la consistenza leggera. La sera, decisione unanime di andare nel Quartier Latin. Caldeggio. C’è la luna piena, le acque della Senna si gonfiano al passaggio dei battelli, due ragazzi scendono di corsa le scale e si baciano lungo gli argini. C’è molta gente in giro, i parigini si riconoscono con un’occhiata. Gonna, scarpe basse, capelli legati e scialle. Scarpe nere, pantaloni scuri informali, giacca di velluto, capelli corti, ordinati. Rientriamo presto, la metro è affollata, vorrei leggere, ma no. C’est trop.

Saturday, September 17, 2005

deuxieme jour

E fu sera e fu mattina, secondo giorno. Una colazione scarna, un cielo grigio. A tavola rimedio un invito per andare a salutare le due ragazze italiane (che grazie a dio parlano francese anche con me) all’ENIT, l’ente per il turismo italiano. Sono là per uno stage. Dico ok ok pensando sia il solito invito “se vuoi fai un salto”-“non ho avuto tempo”. Ma Priscille, una ragazza del Camerun che vive a Bordeaux e studia, fino a domani, a Parigi fissa anche un orario. “Alle 12.30 all’accueil”.
Fregato. Non ne ho voglia, ma non posso sottrarmi ormai. Ho 4 ore libere. Sfoglio il Pariscope e scopro che alla Villette c’è “Cinquantenaire Citroen DS saga d’une voiture d’exception”. Quanti di voi sono già stati alla Citè sanno come vengono curate le esposizioni. Non viene abbandonato un dettaglio, dalla scenografia, alla multimedialità. Il coinvolgimento è totale. Un parco giochi della cultura scientifica dove si possono mettere le mani (e spesso piedi occhi faccia) nelle cose. Invece di “non toccare” ovunque è scritto “touchez!”. Lavato, cambiato Mondato (compro Le monde), un veloce calcolo dell’itinerario e via, verso il futuro.
Le prime pagine di Le Monde e Le Monde du livres contengono entrambe articoli sull’Italia. Il primo è sulla mafia calabrese che il nuovo eletto Agazio Loreo porta in tribunale per danni all’imamgine della regione. Il taglio dell’articolo non è folkloristico (le scenette sulla mafia che fanno ridere solo noi ah ah ah), si parla di economia. “La Ndrangheta pourrait figurer parmi les dix premiers groups industiels européens”. We are very proud. Continuiamo a domandarci perché il sud non “decolla”. Le monde livre mi comunica invece che oltre alla mafia abbiamo anche delle scrittrici fondamentali che non pubblichiamo. Si chiama Goliarda Sapienza (bel nome, ricorda Gozzano) e il romanzo è “L’arte della gioia” pubblicato da Stampa alternativa. Scritto nel ‘76 e mai pubblicato, perché al tempo l’Italia faceva fatica a fare i conti con sé stessa e la neo avanguardia aveva fallito. Se lo dicono loro, prendere nota.
A porte de la Villette piove un po’. Dentro ci saranno al massimo cinquanta visitatori. Offerta speciale, per i minori di 26 anni la tessera annuale a 20 euro. La faccio anche solo per il gusto di avere una tessera annuale, a Parigi di solito ci si sta poco, non conviene fare abbonamenti. Senza contare poi che il prezzo è minori di tre ingressi. E tra un mese c’è un’esposizione su Star Wars che già pregusto. Mi compiaccio per qualche minuto prima di salire. L’esposizione è bellissima, all’ingresso una DS in posizione verticale che ricorda il museo Dalì a Figueras.

Dentro l’allestimento è quello di un salone automobilistico con in più spiegazioni tecniche. Ci sono tutti i modelli, sportivi, di lusso, cabrio, famigliare, da corsa. C’è il motore smontato, una DS sezionata, una teca in cui si spiega il funzionamento delle sospensioni idropneumatiche che permettevano di cambiare l’assetto della macchina a piacere. In più due schermi con i filmati che la riguardano, le comparse al cinema, le pubblicità. Quando è uscita ha cambiato il mondo dell’auto, aveva più brevetti che parti meccaniche: niente frizione, volante a un solo braccio, specchietto in basso, le famose sospensioni, vetri grandissimi. “Sembra un pesce” dice qualcuno. “Sembra un pesce” diceva Bertoni, L’italiano che l’ha disegnata, scultore prima che designer. Peccato solo non ci sia nessuna citazione di Barthes che l’aveva paragonata alle cattedrali gotiche. A proposito, se c’è qualcuno che non pensa che la DS sia la più bella auto del secolo ha sbagliato blog.

Già che sono qui vedo anche le altre temporanee: quella su Einstein, che non guasta mai, e quella sulla demografia, titolo “La population mondiale…et moi?”. Nello stile pedagogico della Villette: insegnare il mondo a partire dal proprio ruolo. All’ingresso si ritira un pass con un codice a barre, lo si inserisce in un lettore, si inseriscono i propri dati, e si scoprono cose interessanti, tipo che quando sono nato io c’erano 4,7 miliardi di persone sulla terra, da quel giorno sono aumentate del 1,4%. Forte. C’è un orologio che scandisce l’aumento della popolazione, un mondone da girare che pesa di più nelle zone più popolate, dei quadri sulla popolazione maschile e femminile. Poi, la supremazia della Francia sul resto del mondo. Si parla di vita e morte, ciclo naturale. Si inserisce il proprio pass e con tutta tranquillità mi dicono che mi restano circa 56 anni da vivere, ma si sta sempre meglio e forse sono di più. E’ naturale. I bambini lo fanno e scherzano. Altrove partirebbero i “maccheportisfiga?”. Ancora di più: i contraccettivi come disciplinatori delle nascite, e via una bella teca con preservativi, spirali, spermicidi, diaframmi. Giusto, giustissimo, ma immaginatelo altrove. Per lo più sono classi scolastiche. “Se vedono quelle cose poi le usano”. E se il papa santifica gli esorcismi invece va bene, benissimo. Tanto il papa adesso ce l’avete voi, ad Avignone non ce lo vogliamo più e da qua possiamo ridere e bere Calvadòs. Un modo originale per contare i visitatori, si mette il proprio pass in una feritoia, sopra ci sono tre pomelli, a seconda di quello che si preme viene tagliata una faccina ☺ , :| o ☹ che finisce in un cilindro di plastica.

Esco, non piove più.
L’ora della visita all’Enit si avvicina. A sorpresa si rivela un pomeriggio piacevole. Si mangia qualcosa insieme, si fanno due passi, loro tornano a lavorare. Priscille, un po’ per indole pedagogica, un po’ per logorrea, mi fa parlare delle ore. Dice “tu ne parles pas beaucoup pour etre un que s’occupe de communication”. “Ça ne veut dir rien” dico io. Un giro a Place Vendome: Cartier, Rolex, Swatch, Ritz ,la camera più povera 660 euro a notte, la più cara 3870. Ci sono 1,5 euro di ammissione. Queste sono le cose che non capisco. Arrotonda, Fammi pagare 4000 e basta, che senso ha 3871,5 ? Il tempo di vedere che alla Fnac a Les Halles c’è ogni libro stampato sulla terra e si torna a casa.
La sera, ultima di Priscille, usciamo: qualche americano, tre francesi, tre italiani, un tedesco. Scoperta: la musica brutta è brutta anche a Parigi. I locali pure. Dover far tardi anche. La legge sul fumo in Italia è un vantaggio evidente. Nostalgia per il locale jazz di ieri, da solo. Ma va bene, va bene va bene così.

Friday, September 16, 2005

Premiere jour

Arrivo alla gare de Lyon in Tgv, prendo un taxi per non morire sotto il pesso delle valige. Abito al foyer charonne al 5° piano (no, non c'è l'ascensore. E si, ho rischiato l'infarto). Si mangia alle 19, prima perdo conoscenza.
La cena è il momento di socializzazione. Rispetto agli altri luoghi in cui ho vissuto in comunità questo si distingue per l’educazione dei suoi ospiti. Che siano francesi, libanesi, vietnamiti o italiani, tutti si offrono di servire gli altri. Chi distribuisce l’insalata, chi la carne, chi si alza a prendere l’acqua e riempie i bicchieri. I tavoli sono da otto, alle 19 suona una campana, chi è interessato scende all’ingresso e ritira un cartellino con il proprio nome. Poi bisognava unirsi ad altri sette e scendere nella sala comune.
La prima sera sono capitato al tavolo con altre due italiane, un vietnamita, due francesi, un americano e un tedesco. La cena, considerati gli standard di uno studentato è oltre le aspettative. Il dopocena porta un po' di spleen, nessuno da chiamare per uscire, pochi legami, contatti, punti d'appoggio. Il mio primo problema quindi è non tanto se uscire o meno (opzione non contemplata dalla carta dei diritti del cittadino) ma quale dei 36 locali, per limitarsi al jazz, scegliere. Il premio al miglior nome va a “Les Matins Bleus”. Troppo lontano e troppo caro. La “Viel Orléans orchestra” non avrebbe rivali, ma è già passata. Alla fine, per vicinanza e costo la scelta cade su “La Fontane” in rue de grange au belles. In dieci minuti e due metrò sono là. Continuo a ripetermi che mi serve una bicicletta. Il posto è all’incrocio di due strade, tavolini fuori, vecchi finestroni bianchi su entrambi i lati, luce rossa. Mi siedo e ordino un beaujolais. Alle 10 il trio “paceo jam” inizia a suonare. Un jazz sincopato e veloce. La star della serata sembra dover essere il chitarrista, ma dopo poco inizio a odiarlo. Suona con gli occhi chiusi, molleggiandosi sulle gambe, è molliccio, fuori tempo. La batterista non manca un colpo e riesce in qualche buona improvvisazione, il contrabbassista è indiavolato, due braccia da carpentiere e dieci dita che non si danno pace. Strisciano, sollevano, battono le corde. Pa tu tum ta tum pat tu ta. Insieme fanno l’effetto della Wermarcht che fa fuoco su un fantolino. Arriva una wolksvagen azzura degli anni 40, si parcheggia con una ruota sul marciapiede. Un uomo vestito di bianco sta per attraversare, si blocca e scuote la gamba nell’aria come si frena un cavallo che impenna.
Qui basta poco per improvvisare un romanzo.

Dopo un’ora si fa una pausa perché con le finestre chiuse si fatica a respirare, decido che basta così. Esco, pago il beaujolais -“merci monsieur, bonne soirée”- e uno si chiede dove viva il resto del genere umano. Fotografo la macchina e mi incammino. Mi ci vuole una bici.
Il cielo di Parigi e i boulevard sono stati disegnati insieme. Non conosceremmo nessun Hausmann senza il primo. Così netto, staccato come fosse sotto un vetro spinto da una gravità opposta. Definito anche se nuvoloso, taglia i contorni dei palazzi. Sembra una scenografia, come nei dipinti di Matisse (e se questo programma corregge ancora in “patisse” lo distruggo). Sulla Senna poi… ma c’è tempo. Compro una birra prima di scendere in metrò, la berrò scrivendo. Poi, leggendo mi addormento.
16-09-2005 0:26

Paris

Finalmente il nome di questo blog ha una giustificazione. Dalle 16.10 di giovedì 15 Settembre sono a Parigi. Dalle 16.11 sono contento di esserci.
Su, non siamo ipocriti, qualcosa manca sempre, però Parigi è tra i luoghi migliori in cui farsela mancare. Devo ancora decidere cosa raccontare: osservazioni, aneddoti, o anche la mia piatta routine in una città che offre 36 locali solo di jazz.
A proposito, ieri sera non ho visto la Tv italiana (no rai1, rai2, rai3, rete4, canale5, italia1, no) e non ho letto il giornale. Questo non mi fa star male.
A bientot

Sunday, September 04, 2005

"Caro Bush, la vacanza è finita"

Questo ve lo metto tutto
Lettera aperta a Bush
di MICHAEL MOORE
Caro signor Bush, Ha per caso idea di dove siano tutti i nostri elicotteri? È il quinto giorno dell'uragano Katrina, migliaia di persone sono ancora bloccate a New Orleans e hanno bisogno di essere salvate dal cielo. Dove diavolo possono essere finiti tutti i nostri velivoli militari? Le serve aiuto per trovarli? Una volta ho smarrito la macchina in un parcheggio di Sears. Caspita, che seccatura!
A proposito, sa per caso dove si trovano tutti i soldati della nostra guardia nazionale? Per il tipo di impegno che hanno sottoscritto, come aiutare in caso di disastro nazionale, adesso potremmo proprio usarli. Tanto per cominciare, come mai non erano sul posto?
Giovedì scorso mi trovavo nel sud della Florida e mi sono seduto fuori mentre l'occhio dell'uragano Katrina mi passava sopra la testa.
Allora era solo «categoria 1», ma è stato piuttosto sgradevole. Undici persone sono morte e, ad oggi, ci sono ancora case senza energia elettrica. Quella sera il meteorologo ha detto che la tempesta era diretta a New Orleans. È successo giovedì! Qualcuno l'ha informata? So che non voleva proprio interrompere la sua vacanza, e so quanto le dispiaccia ricevere brutte notizie. Inoltre, aveva dei fundraisers da raggiungere e le madri dei soldati americani morti da ignorare e offendere. Di certo quella donna ha avuto il fatto suo!
Mi è piaciuto soprattutto come, il giorno dopo l'uragano, invece di volare in Lousiana lei è andato a San Diego per partecipare a un party con i suoi compagni d'affari. Non permetta che la gente la critichi per questo: dopo tutto, l'uragano era finito e lei che diavolo poteva fare, turare la diga con un dito?
E non dia ascolto a quelli che nei prossimi giorni riveleranno come lei quest'estate ha specificamente ridotto il budget del corpo dei genieri di New Orleans per il terzo anno consecutivo.
Gli spieghi che anche se non avesse tagliato i fondi per la manutenzione di quegli argini, comunque non ci sarebbero stati i genieri per aggiustarli, visto che aveva in serbo per loro un lavoro di costruzione ben più importante: costruire la democrazia in Iraq!
Il terzo giorno, quando alla fine lei ha interrotto le vacanze, devo dire che mi ha commosso il modo in cui ha fatto scendere dalle nuvole il pilota dell'Air Force One per poter dare un'occhiatina al disastro mentre volavate su New Orleans. Hey, lo so che non poteva certo fermarsi, prendere un megafono, salire su un mucchio di macerie e comportarsi come un comandante in capo. È ovvio!
Ci saranno quelli che cercheranno di politicizzare questa tragedia per usarla contro di lei. Lasci che a dirlo siano i suoi uomini. Non risponda a nessuno. Neanche a quei noiosi scienziati, che avevano previsto quanto è successo perché nel Golfo del Messico l'acqua sta diventando sempre più calda e una tempesta come questa diventa inevitabile. Li ignori, ignori i loro allarmismi sul riscaldamento globale. Non c'è niente di insolito in un uragano talmente grande, che è come un tornado forza quattro che vada da New York a Cleveland.
No, signor Bush, tenga duro. Non è colpa sua se il 30% degli abitanti di New Orleans vive in povertà, o se decine di migliaia di loro non avevano a disposizione un mezzo di trasporto per lasciare la città. Insomma, sono neri! Voglio dire, non è come se fosse successo a Kennebunkport. Se lo immagina lasciare dei bianchi lì sui tetti per cinque giorni? Non mi faccia ridere! La razza non ha niente - niente - a che fare con tutto questo!
Resti dov'è, signor Bush. Soltanto, cerchi di trovare qualcuno dei nostri elicotteri militari per mandarli là. Faccia conto che la popolazione di New Orleans e della Gulf Coast si trovino vicino a Tikrit.

P.S. Quella madre scocciatrice, Cindy Sheehan, non è più al suo ranch. Lei e dozzine di altri parenti dei morti nella guerra in Iraq adesso stanno attraversando il paese, fermandosi in molte città lungo la strada. Forse riuscirà a raggiungerli prima che arrivino a Washington il 21 settembre

Parole crociate:

Infedele
Guerra Santa
"Dio lo vuole"
Dio è con noi
Dagli al saracino
Scontro di civiltà
Freedom is on the march

Friday, September 02, 2005

Recensione culinaria.

Se centinaia di amici, conoscenti, mendicanti e re fossero venuti a bussare alla mia porta per un anno consigliandomi di leggere quell'imperdibile capolavoro che è Il Codice Da Vinci non avrebbero spostato di un centimetro la mia convinzione che sia al massimo un buon combustibile. Questo per dire che in fatto di gusti non mi lascio spesso influenzare. Ma se almeno 20 persone, alcuni amici, alcuni parenti ti suggeriscono per due anni un ristorante (il bar Sole) inizio a incuriosirmi. Sta di fatto che, dovendo portare a cena due persone a me tra le piu' care al mondo decido di fidarmi di un posto che non avevo mai visto prima. Trovate l'errore.

Sulla strada per raggiungere questa perla immacolata del nostro patrimonio culinario inizio a sentire l'odore della disfatta. Primo segnale: macchine parcheggiate sulla strada (tipo: mi appoggio qui). Poi un escalation. Ingresso via bar, sotto facciata di intonaco un po' scrostato e un po' coperto da telone blu-bianco stile restauro perpetuo. La permanenza del provvisorio, un topos italiano. Porta in alluminio marroncino che non resisterebbe nemmeno all'uragano Giorgetto (brezza di mare forza 1). Evitiamo la veranda in plastica Poco Prezzo Tanti Coperti che sa un po' di festa dell'unità e tanto da sfollati e ci sediamo. Vogliamo incominciare con la disposizione dei tavoli? Sorretti da gambe di acciaio lucido ascendente assa da stiro e coperti da doppia tovaglia plastica-plastica e plastica-tessuto. Orientati in modo da poter godere appieno dello sganasciamento dei dirimpettai, e vicini al punto giusto per avere (gratis!) gomito, piatto, bestemmie e alcolemia del vicino a domicilio. Pareti bigusto giallo-bianco stile asilo con fascia decorativa allo scambio dei due (che finezza!). Alle pareti l'equivalente moderno dei filosofi dello studiolo di Urbino: maglie di giocatori autografe conservate sotto vetro (di Gand?). Atmosfera fredda. Piastrelle e anomia. Lampade alogene in numero di otto, che nemmeno allo stadio, appese a due ventilatori. Per vedere bene cos'hai nel piatto. "Però dai non si mangia male". Crostini che sanno di crostini e ravioli buoni. Oh certo, contando che l'aspetto penalizza ogni cosa la sorpresa di trovare dei gusti veri è grande. La tagliata è preparata dal cuoco secondo la filosofia del "porta un amico" ovvero "piu' si è meglio è". La si deve conquistare sotto un'overdose di funghi crudi, un cappotto di rucola e un cappello di scaglie di grana. Pero', sotto sotto, non è male. Un buon morellino di Scansano (che basta comprarlo e di solito sa lui cosa fare) e acqua-acqua. Banchetto del contabile di fianco alla vetrina dei dolci. Si paga al laureato del gruppo e si esce per lo stesso bar. Fuori si gioca a carte e si litiga con i bambini, arriva il babbo e i giocatori si difendono. Etnografia a un passo da casa. E pensare che Levi-Strauss è dovuto andare fino in Brasile..
Per finire: il piccolo gioco delle differenze. Spartano vs kitsch (si accettano proposte migliori per "kitsch"). Spartana è una donna che per vestirsi con 10 euro compra una tunica di lino e una spilla per capelli. Kitsch è una donna che con la stessa cifra compra due gonne di nylon e camicetta omologa, tre anelli di plastica e un ciondolo di gomma. Spartano è un ristorante dove ti danno tovaglie di carta e vino in caraffa, il menu' è scritto su una lavagna. Kitsch è il posto illuminato a giorno, pavimentato in piastrelle, ogni portata ha una foto sul menu' plastificato e colorato, i camerieri hanno la stessa maglia, ma pantaloni lunghi e corti. Spartano è un onesto bicchiere di vino, Kitsch è il parvenu, il bariccato in botti di finto rovere.