quatrieme jour
Diario del capitano. Quarto giorno, il giorno più lungo. Stile regolato sulla velocità della giornata. Mi alzo la mattina decido che non faccio colazione vado prima in piscina, sono in vena di salutismi, giro per la stanza raccogliendo quello che mi serve: nel borsone; scendo, la piscina è a 5 metri (non esageriamo con lo stacanovismo!). “Vous avez la piece d’un euro?” No, non ce l’ho, non posso usare l’armadietto. Torno a casa, trovo un euro, ritorno. Ce l’ho. Bisogna cercare uno spogliatoio, cambiarsi, fare la doccia. Fermarsi per ricapitolare l’ordine delle azioni, cosa porto dentro, le ciabatte, l’asciugamano, il bagnoschiuma. E’ incredibile come sia difficile fare cose semplici per la prima volta. Entro, scelgo una vasca gli occhiali si appannano dopo due bracciate. Ricordi di quando andavo in piscina da piccolo, la puzza di cloro, le ciabatte, la gente più veloce e quella più lenta, i genitori che aspettano fuori, la voglia di essere altrove. Al mare però ero un pesce patentato. Se c’è qualcosa da vedere allora sì. Dopo 45 minuti sono fuori, ma ho nuotato parecchio e ho notato che le piscine in Islanda sono più belle, le docce anche. Qui ci si bagnano i calzetti.
A casa dico “Mon dieu!” oggi è la giornata del patrimonio in Europa. L’eliseo, la decouverte, il Louxembourg sono aperti alle visite. Punto al Luxembourg, ma vado all’Elysee. Capita di decidere qualcosa e fare altro, sono le gambe a scegliere, poi voglio andare al cinema e penso sia il percorso più semplice. Tutta la Francia oggi è a Parigi, 3 ore di coda ell’Eliseo, 2 alla Decouvert. Non voglio fare il turista, non faccio code, non ne ho voglia. Dopo il nuoto e una madeleine mi viene fame, mi trascino nel quartiere latino, passando per place de la Concorde e Bld. Saint Germain.
Trovo la Brasserie Lipp, dove andava Barney Panofsky, ma deduco fosse già ricco, non è abbordabile, per ora. Cammino, molto. Malsana voglia di mangiare cinese. Mi trattengo in parte, evito i fritti, scelgo un luogo pulito. Ravioli bolliti e un riso jenesaisqua. Mi piace il sapore di quel pastone indefinito che invita a non cercare ingredienti. Non lo consiglierei a nessuno, non lo mangerei neppure, potrei fare una conferenza contro il cibo cinese. Ma mi piace, tant’è. Una cucina compatta senza legami regionali, una sorta di coazione a ripetere nei confronti di ciò che fa male ed è bello così. Rischio recensione culinaria.
Tento al Senato-Luxembourg. Fila incredibile, ma una va molto più veloce perché entra dal giardino. Ci provo. In mezz’ora sono dentro. Visito uffici e sale di ricevimento, salgo scale d’onore, misuro saloni.
E’ ricco, non volgare, fiorentino (ordinato da Maria de Medici), meno rosso del Palazzo ducale di Venezia, ma altrettanto dorato. Corridoi da Reggia di Caserta.
C’è un clima di estrema dignità, magari qui dentro succedono cose peggiori che in Italia, ma i muri respirano democrazia, i valletti spiegano l’ordinamento politico, la biblioteca è appena fuori l’emiciclo. Invidia. Dalle finestre si vedono i bambini che gareggiano con barche di legno nel lago del giardino. Invidia doppia per i bambini. Velocizzo un po’ per andare al cinema.
Proiezione delle 4.30: Charlie and the chocolate factory. In inglese con sottotitoli francesi. Dio come mi sento europeo. Ho grandissime aspettative. Sbagliato. Tim Burton è più bravo con i toni grigi che con la plastica. Troppo mix tra digitale e ripresa tradizionale. Trama confusa, buonismo da Natale, ma senza la poesia di Edward(per altro citato). L’originale con Gene Wilder aveva una sua grazia naif, voleva essere un film per bambini, ma era psichedelico, nonsense, folle. Migliori le canzoni, migliori gli Oompa Loompa (qui ce n’è uno riprodotto in digitale). Il padre dentista…ma vi prego. Peccato. P.s. rischio più volte di addormentarmi, ma non è colpa del film.
Ritorno a casa ed è il momento dell’haute cuisine, in mezzo a gente che mangia kebab o minestre riscaldato io mi preparo una chevre chaud con il formaggio comprato ieri, insalata e vinaigrette. Alla faccia loro. Puzza una po’, ma il gusto è superbo. E baguette appena sfornata bien sur. Invidia, questa volta nei miei confronti. Leggo Le Monde sulle elezioni in Germania e cado come corpo morto cade.
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