Paris is a moveable feast ("Festa mobile" Hemingway). Blog su un erasmus a Parigi.

Thursday, September 29, 2005

quinziéme jour

Oggi niente corsi. Ma qui c’è da chiedersi quando si impari di più. Leggo un testo di Touraine abbastanza vuoto per il corso di “Soc. Soc. Europee” e poi vado alla Cinémathéque. Oggi voglio fare il pass annuale, “I want it all”. Hanno aperto ieri, forse non si aspettavano una tale invasione. La disorganizzazione è alta, spostano le file, cambiano i regolamenti, gli ingranaggi si stanno sistemando e questo edificio sta prendendo vita. Mentre sono in fila annunciano che il film che mi interessa sta per iniziare, mi danno un biglietto e, sulla fiducia, mi dicono che potrò fare il pass più tardi.
La sala è grande, spaziosa, accogliente. Poltrone imbottite con schienale alto, spazio per le gambe. Legno per i corrimano e gli schienali. Niente portabicchiere, portapatatine, portarumore, è un ambiente nobile, l’equivalente imborghesito dei matinée (sono le 12.30). A mezzogiorno non si può che vedere un Western: “The man without a star” con Kirk Douglas e William Campbell. I quattro panni neri si allontanano e scoprono lo schermo bianco, funziona come l’apertura di un obiettivo. Il film si rivela un capolavoro della comicità. L’inizio contiene già un grande topos: il treno che attraversa l’America e i cowboy che dormono nei vagoni, un tizio cerca di cacciarli. All’arrivo in città la tipica cisterna dell’acqua con tubo di ferro accoglie i due protagonisti. Entrambi vengono dal Texas, le battute memorabili si sprecano “Good old Kansas City, good liquor and good girls” o Douglas che ci consiglia “Never sell your sell”. Il tema del film attende un po’ ad arrivare, intanto c’è tempo per sparare a un po’ di bottiglie, bere nel saloon, imparare che un uomo non può uscire “half naked”, ovvero senza pistola. Avete presente il Padrino, dove si ritrae il passaggio al commercio della droga nel mondo mafioso? Ecco, qui il tema è quello del passaggio al filo spinato nell’allevamento. Geniale. Il protagonista odia il filo spinato (“I don’t like barbed wire and don’t like who use it”), suo fratello è morto cadendo da cavallo e ferendosi alla gola, lui è stato ferito alla schiena (“e nell’anima” direi, se questa fosse una rubrica di Panorama). Ma soprattutto si tratta di conservatorismo: che bisogno abbiamo del filo spinato se abbiamo i cowboy? Vogliamo cavalcare liberi per chilometri, senza questa diavoleria che ci blocchi. Capite? I dinosauri sono stati vinti dalle glaciazioni, i cowboy dal filo spinato. Per questo poi molti film li rappresentano come soggetti da città, o da Rodeo, il loro ruolo nell’allevamento era diminuito. O Tarantino non lo conosce o lo tiene per un altro film. Esco e mi faccio la mia mezz’ora di coda per il pass. La luce alle spalle costringe a un trucco molto chapliniano: per farsi fare la foto bisogna aprire un ombrello nero e appoggiarlo sulla spalla, in modo che lo sfondo sia scuro. Felice me ne vado alla Biblioteca del Centre Pompidou a leggere un po’ di Durkheim.
La sera poi, visto che ogni giorno qualcuno se ne va e bisogna uscire, passiamo per il Marais, constatiamo che tutto tace e ci spostiamo verso il quartiere latino che non tradisce mai (“Good old Latin quartier”). Finisce che io sono la guida. C’è chi prende una crepe, io ritrovo una pasticceria sud tunisina vista di giorno e prendo un Kadaif. Mi sorprendo che nessuno di quelli che sono qui in erasmus sappia cos’è “Shakespeare and Co.”, né Pont Neuf… avranno tempo.

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