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Chi entra in rue des Rosiers lo fa a testa alta, per vedere i colori dei tetti, i fiori alle finestre e i nomi degli incroci. Subito però è costretto a chinarsi: non aveva visto quella porta dietro la grondaia verde, scambiata per uno sportello del gas. Ha dimenticato la lingua di quel ristorante a fianco dell’edicola. Ne ha imparata un’altra che ha caratteri d’oro e si legge a spirale.
Per entrare in quel bar deve salire una scala e attraversare una fune. Qui deve cambiare le scarpe, per non rovinare il pavimento nuovo. Là rinnegare una religione e adottarne un’altra, se vuole comprare quel vaso. Si vende per dieci cammelli e si riacquista per un pugno di zafferano. Non esiste uomo che esca di qui avendo mantenuto la propria moda e i propri gusti alimentari.
Ma non provate a ritornare nello stesso posto. Ogni notte gli abitanti traslocano, bruciano le insegne, ne dipingono di nuove. Mutano i menù, gli indirizzi, i nomi delle strade e dei figli. Le combinazioni sono talmente usate che spesso il cambiamento è tanto radicale da rimettere tutto allo stesso posto. Altre si inverte la simmetria o si ruotano i punti cardinali. Ritornando troverete il vostro tavolo a destra, il sole a mezzogiorno sarà nascosto da un lampione. Darete la colpa all’orientamento o alla memoria. Chi penserebbe di trovarsi a mille chilometri dal posto originario?
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