soixante et cinquième-sixième jour
Domenica si pranza fuori. E’ il compleanno di Elodie e si va a mangiare in un ristorante indiano vicino a Chteau d’eau. L’indio locale ci sistema vicino alla porta -ma qualsiasi tavolo è “vicino alla porta”- dalla quale si insinua un vento fatale per la digestione, i cinque più vicini mangiano con il cappotto. Ordiniamo tutti qualcosa a che fare con il curry, delle nan -piada- e del lassi, una sorta di milkshake al mango. Quando è ora di pagare tutti precipitano nel panico perché il buonuomo non prende carte di credito. Si fa la fila davanti all’atm. Il quartiere non è Saint Germain, c’è un solo bancomat, ma un distributore di preservativi ad ogni angolo. Prevenzione sociale.
Tornati al foyer il pomeriggio si resta a studiare e studiare e scrivere e rileggere, con grandi prospettive per la sera. Un film? Delle chiacchiere da qualcuno? Un tè? Una birra? Lentamente tutti i candidati si ritirano, compresa Naima con la quale avevo mangiato una frittata senza forma. Restiamo io e Johannes. Robert si è tirato fuori perché di ritorno da un week end “d’integrazione” con la sua classe, dove in pratica hanno vissuto allo stato animale per due giorni in una casa di campagna. Fregandosene della sua posizione io e Johannes decidiamo di invadere la sua camera e bere una birra in sua presenza. Ci accoglie e ci offre addirittura beni alimentari inviati dalla nonna tedesca.
Lunedì è il giorno prescelto per iniziare il terzo dossier. Essendo chiusa la Bnf il luogo del crimine si sposta alla Bpi, Centro Pompidou. Ora, il Pompidou è pericolosamente vicino a una delle pasticcerie più famose di Parigi. Il suo nome è Stohrer, la sua residenza su questa terra è rue Montorgueil, ma è una sorta di patrimonio dell’Unesco nel campo dell’alimentazione di lusso. Decido di consumare là il mio ultimo pasto. Entro e vengo colto da afasia, un po’ come portare Bukowsky in una distilleria. Prendete e mangiatene tutti. “Oui monsieur?” Calma. Non sono mica un abitué. “Est-ce que vous pouvez me conseiller? Quelle est votre spécialité?”. Lui inizia a parlare e io lo fermo al Puits d’amour, di cui vi trasmetto la descrizione: “toujours réalisé dans les moules d’origine datant de la fin du 19ème siècle . Le PUITS D’AMOUR est composé d’un feuilletage, d’une crème pâtissière vanillée et caramélisée sur le dessus au fer rouge”. Alleluia! In più prendo una banale fuilletage aux noisettes. Lui incarta e io me ne vado.
Mi siedo davanti al Pompidou ridendo per la felicità solo a vedere il capolavoro. Un opera dell’illuminismo. Mordo e quasi mi vergogno di mangiarlo in pubblico, tanta è la voluttà, il godimento che regala. Un altro livello, come aver guidato una 127 tutta la vita e ritrovare oggi una porche in garage. Due eventi vengono a perturbare il rito iniziatico. Uno: con una probabilità netta dell’1% proprio in quel momento passa di li un’erasmus tedesca con i genitori. Ci si limita a un saluto, fortunatamente. Due: non so perché un tizio ha la ferma intenzione di dirigere verso di me, gettando mollica di pane, tutti -tutti- i piccioni del Pompidou, e mi costringe a spostarmi per evitare che il piccione di turno si pappi immeritatamente il mio pasticcio. Il croissant aux noisettes lo mangio in coda per entrare alla Bpi. Dolce attesa. Questo è l’avvenimento culmine della giornate, tutto il pomeriggio passa al Pompidou a studiare. La sera alle 8 ho un’anteprima alla Cinémathéque: “Le temps qui reste” di Ozon. Non dico che mi aspettassi un film da ridere, ma avevo voglia di rilassarmi un po’, questo si. Bene. Il titolo del film, il tempo che resta, è il tempo che resta al protagonista dopo aver scoperto che ha un tumore maligno al cervello. Dopo un minuto. Paf!
Bello? Bello.