tombe, jazz etc.
Può capitare che un pomeriggio si abbia la vaga sensazione che Parigi abbia dato ormai tutto. Conosci gli angoli dove c’è vento, e quelli silenziosi. Disponi degli scorci come di istantanee da incollare alle situazioni. Qui si mangia bene, là sono antipatici, la prossima a destra, tra poco ci siamo. Non dico che arrivi ad annoiarti, ma non pensi più alla sorpresa, ecco.
Poi quando hai un’ora di tempo prima di lezione decidi di cercare quel piccolo cimitero a Montmartre di cui hai visto una foto, un giorno. Cimiteri Saint Vincent, vicino al Lapin Agile. Per un buon tratto vedi solo un muro coperto di rampicanti, chiedi indicazioni: svolta a destra poi ancora una volta. Entri in un quadrato in pendenza, avvolto dalle case, un orto con tombe al posto dei pomodori. Statue verde rame, pensatori e amanti come al solito. Gli alberi della via centrale sono stati piantati da poco, più in alto una terrazza riservata ai primi abitanti del cimitero. Di corsa a lezione dopo una visita veloce. Scattare foto alle statue è un piacere, tengono sempre la posa che richiedi, anche mentre gli giri attorno. Non sempre è così: potrei fare un port-folio di foto mancate. Marais: via stretta, due uomini vestiti in completo rabbinico cercano di partire in bicicletta, dondolano un po’ appoggiando sui pedali. Non faccio in tempo a regolare il fuoco che il pilota ha l’unico scatto da velocista della sua vita e svolta a sinistra. A Montmartre, gatto alla finestra con tenda mossa dal vento, mi fissa, pare non abbia nessuna intenzione di rinunciare al suo momento di celebrità. Ma uno dei mezzi più rumorosi di questa terra (camion nettezza urbana) arriva a disturbare l’idillio, lui scappa e non si ripresenta più. Potrei aggiungerne decine.
Lato concerti invece la settimana è illuminata di grazia. Lunedì sera Stefano Bollani (più tutto il quintetto: Gori, Guerini, Spinetti, Calcagnile, special guest Petra Magoni). Composizioni con strumenti urlanti, boccacce ai musicisti, una specie di Frank Zappa per la musica e di Benigni per la simpatia. Gioca molto sulle note basse del piano, alza i gomiti e muove le dita come se stesse tessendo una rete di minuscole biglie. Si può chiamarlo jazz volendo. Varietà, improvvisazione, andrebbero meglio. Bravissimo come già detto Spinetti al contrabbasso.
Mercoledì si passa invece alla classe di Enrico Pieranunzi. Stile da grande pianista, girocollo nero, gesti calcolati, velocità e precisione. Non salta sui tasti come Bollani, li scorre, dando a ogni dito la meritata indipendenza. Al contrabbasso c’è il più grande contrabbassista che abbia mai visto: Hein Van De Ghein. Il grande gigante del Jazz. Un metro e novanta per una circonferenza e una faccia da campione di wrestling. Balla il tango con il suo strumento che suona con tutte e dieci le dita. Si piega, lo stende, si appoggia di lato, canta sussurrando ogni nota che produce. Aggiungete André Ceccarelli alla batteria (a volte troppo forte, come sempre in un piccolo locale) e avrete uno dei migliori trio jazz in circolazione.