Paris is a moveable feast ("Festa mobile" Hemingway). Blog su un erasmus a Parigi.

Saturday, October 08, 2005

Vingt et troisiéme jour

Venerdì. Una sola lezione, sulle politiche economiche per i beni culturali. La cosa mi interessa, anche se l’esempio della Francia non è proprio uno standard. Da noi parlare di patrimonio significa parlare di oro, denaro contante, talleri. Qui si chiamano così anche i giardini, non a torto. Il riassunto della lezione è questo: negli anni 60 viene creato un ministero per i beni culturali e si inizia a capire che ci si può guadagnare, in più la Francia e i francesi comprendono che la cultura è il loro valore più grande. Perché invece in Italia abbiamo solo rovine. Poi negli anni ’70 si lascia un po’ perdere, poi arriva Mitterand e sono rose e fiori, obiettivo dell’ 1% del Pil per la cultura, progetto Grand Louvre, Museo D’Orsay, Beaubourg (a fine ’70 questo). Noi ridiamo con Totò che vende la fontana di Trevi, ma poco ci manca che l’appaltiamo e mettiamo una gettoniera per far partire l’acqua. Ogni tanto, spesso, uno pensa che sia un bene che molti dei nostri quadri e delle nostre sculture siano qua, sono in buona compagnia e in buone mani. Per rimanere in campo economico poi vado in banca, è arrivata la mia carte bleu, sono un ricco possidente con fondi all’estero, è ufficiale. Con Sonia mangio in un chiosco libanese, lei è di origini palestinesi e un po’ ci capisce. La cosa più buona, come sempre, sono i dolci, Baclava come se piovesse, Kadaif e tante altre cose dal nome complicato. In un negozio per tre giorni c’è la festa della cassoulet, la zuppona di crauti e salsicce, peccato non averlo visto prima. Comunque la parte alta di rue Saint Jacques, quella dopo il Panthéon è un gioiello, piena di ristoranti e bars à vin, segnatevelo. Al pomeriggio si studia e si va a prenotare l’albergo per la sorella, trovato uno a due passi da Republique, ovvero a cinque passi dal Marais e a dieci dalla Senna.
La sera siamo in cinque a uscire: io, Johannes, Robert, Guillaume e Naima. Ormai ci si vede direttamente all’uscita e si decide all’ultimo dove andare, ne abbiamo di tempo, non serve pianificare. Ogni tanto capita di ridere incrociando turisti che camminano veloci con una cartina. Ci sembra ancora surreale pensare di stare qui fino a giugno. Comunque per la serata io spingo per Place de la Contrescarpe, il gruppo se lo merita. Non tutti sono convinti, non è come dire “Quartier Latin”, è un po’ meno nota questa. Ci andiamo. La popolazione è studentesca e molto francese, tutti sono impressionati dalla bellezza del posto. E’ per ora, lo era già, il mio angolo di Parigi preferito. Un po’ Marais, un po’ latino, ma a un passo dal Panthéon, una succursale. Camminiamo un po’ fino a Saint Geneviene (non ho foto, ma rimedierò) e giriamo attorno al Panthéon, provo a spiegare Foucault in francese. Ne hanno sentito parlare. Rue lacepede è piena di locali, più indietro c’è una casa gialla con cortile interno e pozzo, c’è anche un’insegna, bisogna venirci di giorno per capire cosa fanno, sembra una villetta italiana. Troviamo un locale orientale con tavolini bassi, thè alla menta, shisha, cuscini. E’ pieno, segniamo il nome per la prossima volta. Ci sediamo a un cafè irlandese in place de la Contrescarpe a bere un bicchiere di vino. Parlo un po’ con Johannes, che studia storia e prepara una tesi sull’amministrazione di Cartagine, cerco di spiegargli cosa faccio io, ma non è così semplice. Questa sera si ride molto con Robert per la parola “truc” che in francese è un tappabuchi eccezionale, sostituisce ogni cosa. E ridiamo perché non appena uno esita a dire una parola si pensa che utilizzerà questa. Si ok non è che faccia molto ridere raccontato così, ma se siete a Parigi con un bicchiere di Bordeaux e per domani non avete problemi, non dovete preoccuparvi del lavoro, della famiglia, dei soldi, allora siete pronti a sorridere alla prima foglia che cade, fidatevi. Mangiamo il nostro pane bianco, come si dice qui.
Ritornando a casa abbiamo tutti fame, ma non c’è tempo, riusciamo a prendere l’ultima metro, salutiamo gli altri che rientrano con noi e verso l’una siamo tutti nelle nostre tane.

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