Vingt et quatriéme jour
Avete presente Atlantide? Io ci abito. Il mondo fuori di qui mi è estraneo, e allo stesso modo voi dite che il mio non esiste. Io ho branchie, voi orecchie. E’ dura comprendersi. So che per molti sarebbe difficile vivere qui, e oggi ho capito che per me sarà lo stesso ritornare in superficie, con tutta quella terra e quei marciapiedi che interrompono il cammino. La vita quotidiana qui è così banale, non si può rinunciare a niente, ogni desiderio ha un nome, non un orario. E’ come giocare a bowling con le sponde. Per esempio il sabato mattina vi svegliate con le voci di un mercato, una di quelle cose che Pennac sa descrivere bene. L’arabo sarebbe più utile del francese, questo è sicuro. Avete l’idea di gente che sia arrivata all’alba per prendere i posti migliori, e si sia annunciata dal fondo della strada, regalando uva a chi si era già alzato o doveva ancora ritornare. Prima andate in piscina, una ventina di vasche, giusto per svegliarvi in un materiale diverso che vi scivola addosso. Poi uscite, e vi sembra così normale ormai dire “une baguette et un pain au chocolat, une saucisse et une pointe de brie”. Comprate anche dell’insalata e una zucchina. Non avete fatto ancora colazione, avete una baguette, c’è un banco delle ostriche. Lui è così gentile, gli chiedete di assaggiarne solo un paio, ve le descrive: preferite quelle piatte o quelle un po’ più grasse, corpose? Non lo so, sono arrivato da poco, è un esperimento, mi fido, facciamo una e una. D’accordo, ah l’Italia, le ostriche ci sono anche là, costano meno, ma è un’ altra cosa. Ne apre una, fa leva con il coltello poi passa sotto per staccarla e liberare il succo. Va risucchiata, è salata, più dura sui bordi e gonfia al centro, sa di fresco, di appena arrivato, di non lavorato. Arriva la seconda, polposa, si mastica un po’, si apre in bocca, il sapore resta più a lungo. “j’aimè ça, comment s’appelle?” “Vous demandè la speciale”. Ah ecco, è la speciale. Quanto le devo? Fa segno di no. Davvero, insisto. “C’est bon comme ça monsieur”. Non mi interessa non pagare, è il modo, ve le offre perché ne ha piacere, non vi chiede di tornare, non vi dice che pagherete le prossime. Comunque non pensavo fossero così buone, me ne vado felice. Qui i giornali sono gli stessi il sabato e la domenica. Il motivo è sospendere il tempo, godersi una giornata, siamo comunque in Francia, savoir vivre e tutto il resto. Salsiccia olive, pomodori e pasta sono per il pranzo italiano con i tedeschi: Robert e Johannes. Qui altrimenti si va a sughi pronti: “la bolognaise”, ma vi prego. Mo vieni ben qui che te lo do io il sugo. Preparo delle penne salsiccia zucchine e pomodoro che se le sogneranno per un po’. Robert aggiunge due meloni. Sarà per i fondi europei per l’agricoltura che si mangiano, ma frutta e verdura sono veramente a buon mercato.
Al pomeriggio io e Johannes ritentiamo la fortuna: a Saint Sulpice c’è la bourse aux velo: un mercato di biciclette usate. Ci andiamo, è a un passo da Saint Germain de Pres. Serve dire che la piazza è bellissima, circondata di palazzi, chiesa e con fontana al centro? Le bici sono care anche qui, in più bisogna aspettare un po’ per avere accesso alla zona di vendita. Ma è bello esserci, fare qualcosa di poco turistico, spendere un pomeriggio per vedere delle bici. Ne proviamo alcune, parliamo con un signore che vende un bici da corsa del ’63 e ci dice che da Decathlon la più scarsa costa 2500 franchi, pari a non sappiamo quanto. Chiacchieriamo un po’, passiamo per il jardin de Luxembourg, apprezziamo l’opera dell’autunno. Qualcuno ha lasciato intenzionalmente dei mucchi di fogli, dei bambini ci saltano dentro, siamo in un fumetto. Ci diciamo che non è difficile fare i genitori a Parigi, quando al sabato pomeriggio puoi portare tuo figlio a giocare con una barchetta a vela nel giardino del Senato. Altro che tanti discorsi sulle “istituzioni vicine ai cittadini”. Mentre attraverso in diagonale la piazza centrale mi sento bene, il cuore è leggero, non ho preoccupazioni, le nuvole sono di cotone. Con tante cose positive dimenticavo: la giornata è stupenda: i colori dell’autunno e il clima della primavera. Alle 18.15 siamo al foyer. La metro è piena, sono usciti tutti oggi. Alle 18.30 esco di nuovo, alla Cinémathéque c’è “Hanne and her sisters” di Woddy Allen. Leggo un po’ fuori prima di entrare. Che dire del film? Dopo dieci minuti voglio gli occhialoni di Michael Caine e le paranoie di Woody Allen (che teme di avere un tumore perché ha una macchia nera sulla camicia). Quando corre fuori dall’Ospedale saltando, poi si arresta di colpo mi fermo anche io. Capisco quanto mi sarà difficile disabituarmi a tutto questo, a quello che vuoi a ogni ora, dietro l’angolo, a questo clima rilassato, ma frenetico, al nessuno che fischia se la pellicola ha dei problemi. Altra scena da storia del cinema: lui che appoggia sul tavolo alcuni oggetti religiosi -vuole convertirsi al cristianesimo, poi penserà ai krishna- insieme a un pacco di pane da toast e un barattolo di maionese. E’ pop art cinematografica.
Esco e vado a incontrare due amici italiani che sono qui ospiti di un terzo, ci sembra così strano dirci “ci vediamo stasera” a Parigi. L’appartamento è in rue bergere, in un palazzo affittato da un italiano agli italiani, clima poco internazionale, ma buono per fare due chiacchiere. Alla fine ci si raduna in una quindicina, si propone di andare in un pub. Davanti al dilemma: pub e perdere l’ultima metro scendo e torno a casa.
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