treinte et sixième jour
Oggi vado all’ospedale. C’è la riunione per l’inchiesta sui vecchi di Parigi, al Kremlin-Bicentre. Un tristo ospedale periferico, cemento e finestroni? No, una sorta di tenuta nobiliare con giardino interno. Ci sono quelli che raccolgono le foglie e potano gli alberi. Dentro l’ospedale. Alla riunione siamo quindici, sono l’unico straniero, il più piccolo e l’unico a non aver fatto inchieste. Sono l’asso degli handicap -lingua, età, esperienza-. Ma per ora non si parla di selezione. Il lavoro è un lavoro vero. Si tratta di chiamare gli allegri vecchiotti con più di 75 anni, fargli al volo un test di memoria e poi andarli a incontrare. In teoria hanno ricevuto una lettera che li avvisa della cosa, ma chi si ricorda. Una volta che hanno accettato gli si deve propinare un questionario di 32 pagine su salute, vicini, abitudini. Tutto questo nato dalla moria del 2003, ve l’avevo detto io che qui la canicule non aveva scherzato. Forse l’unico punto a mio favore è che io c’ero quell’estate. Esci un po’ disorientato. Non so che fare, la cosa mi interessa, ma pensavo fosse diverso, lavorare solo sui questionari non mi entusiasma, il lavoro è tanto, bisogna chiamare, spostarsi, però mi affascina. Ho una settimana per pensarci. Torno a casa perché anche oggi per andare alla Villette non ho il tempo né la macchina fotografica. Mangio un’insalata mentre davanti a me si compie il crimine: lei butta degli spaghetti, fa un giro intorno al tavolo e gli spaghetti sono pronti, in tre minuti. Li mette nel piatto e via una bella badilata di ketchup. Lavoro un po’. Mi riescono tre pagine sul tema referendum italiano, in francese. Non poco per quanto mi riguarda. Cioè, per ora sono solo io a chiamarlo “francese”, non so veramente cosa sia. Lavoro fino all’ora di cena, poi si decide per una birra fuori dal Foyer, si chiacchiera molto, ogni tanto mi si incagliano le “r”. Rientro in camera e parlo un po’ di politica con Diego, fino a poche settimane fa sapevo al massimo chiedere una baguette in francese, adesso parlo -male- di partiti. Non male, ma devo muovermi dalla sensazione di saperne abbastanza per vivere. Mi piace discutere anche perché mi ricorda Bologna, le serate a parlare di arte-politica-letteratura-filosofia tutto insieme. Bello, ci si sente un po’ più umani prima di addormentarsi.
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