Paris is a moveable feast ("Festa mobile" Hemingway). Blog su un erasmus a Parigi.

Monday, October 17, 2005

treinte et deuxiéme jour

Dimanche c’est toujours dimanche. Inizio la giornata con un atto di democrazia. Lo sguardo fiero del giovane garibaldino, il passo deciso del partigiano sull’appennino mi reco democraticamente a sostenere il mio candidato dell’Unione alle primarie. Anche se il mio voto si perderà sulle alpi, portato a mano da una staffetta munita di slitta, il senso civico trionferà, il nemico verrà ricacciato nella sua tana e l’odore del trionfo invaderà le strade. Bene, per non rischiare di essere arrestato come sovversivo-di questi tempi- devo dire che in realtà arrivo al seggio dopo aver compulsato una cartina, in una fredda mattina di Parigi. Devo anche dire che “il seggio” è una sede dell’Acli, dove pongo una crocetta sulla scrivania dove mi porgono il foglio, non ci sono grandi segreti, non c’è niente da nascondere, nessuna vergogna. C’è una tal voglia di esprimersi fuori da una manifestazione, di poter finalmente dire “basta”. Mi sento sempre bene dopo aver votato, non sono affatto della schiera “tanto non serve a niente”. Credo profondamente che questa sia l’eredità più concreta del dopoguerra, teniamola stretta e non sputiamo su chi ci permette di muoverci ed esprimerci -più o meno- liberamente. Ok, finito la mia prefazione al libretto rosso dello studente all’estero posso continuare. Anzi no, prima finisco l’angolo della politica. Quattro milioni di voti non sono pochi. Era la prima, abbiamo votato in più che gli americani, che però non sparano a un vicepresidente che va al seggio (sparano nelle scuole potrebbe dire qualcuno). Se c’è un primo e un terzo mondo noi occupiamo la seconda posizione, perché abbiamo amici tra la giuria. Un commento a chi mi ha detto (anche oggi) ma i politici sono tutti uguali fanno solo il loro interesse, non è B. il male dell’Italia che è poi lo stesso commento rivolto a chi ha detto “vince solo se votano i suoi” (e chi se no? Il Vaticano? Il consesso dei monaci nepalesi? L’associazione studenti del Chapas? Chi, di grazia, chi?) : prrrrr!
Per fortuna che ci sono le mostre di Parigi a risollevarti. Al Grand Palais Klimt e Schiele. Accidenti, c’è troppo fila, che si fa? Va bé andiamo alla Bnf, c’è una mostra sulle foto di Salgado. Va bene, se proprio non c’è niente di meglio (qui si ride per esorcizzare l’abbondanza, non la miseria). E’ nella succursale in rue Richelieu. La città è deserta, ci arriviamo per un passage che sbuca in rue Vivienne, sembra costruito ieri. Nella biblioteca una sala di lettura fantastica, quelle classiche dove nei film ci sono due che si incontrano e parlano a voce troppo alta. O in cui lui detective lavora fino alla chiusura per trovare dei documenti (inquadratura dall’alto). Oggi non si può, ma tornerò per fare la tessera e studiare qui. Le foto sono tutte in bianco e nero, le prime sulle Galapagos (iguane, crateri) le altre sulle zone povere del mondo. Si studia l’impatto della rivoluzione industriale in Brasile e in Africa. Gente come formiche nelle miniere. Un solo uomo col fucile che li controlla. Certo che se ti chiami Che Guevara e da giovane fai un giro in questi posti un po’ di voglia di rivoluzione ti viene. Ci sono anche foto delle nostre tonnare. Prossima tappa il Beaubourg, ultimo giorno della mostra sul design. Prima però bisogna mangiare qualcosa. Va bene. Ci rassegniamo al Marais, giornata un po’ umida, Marais pieno di gente. Ebrei per strada che vendono limoni del Marocco per una festa celebrata lunedì, mi informo sul nome: Sukkot. Prendo in giro Sonia per le sue origini palestinesi. Si va a mangiare a “L’as du falafel” il miglior ristorante turc-palest-israel nel Marais, anzi a Parigi, di più di più nel mondo. “Consigliato da Lenny Kravitz” (allora le se lo dice un vero gourmet specializzato in kebab non si può che inchinarsi). La mezz’ora di fila testimonia il gradimento del pubblico, o l’abilità del marketing. E’ veramente buono, kebab e falafel una spanna sopra agli altri. Uscendo si dichiara uno sciopero del sandwich turco di almeno un mese. Se leggete in anticipo la parola kebab fatemelo notare. Piove un po’, ma il Beaubourg non è lontano. Fila per tutta la piazza… ma con il pass annuale rido di voi, e entro senza un secondo di attesa dalla porta preferenziale, deposito lo zaino e non faccio biglietti. Già questo è gratificante, credetemi. Prima della mostra proviamo il labirinto virtuale allestito per la notte bianca. In pratica ci si mette un cerchietto sulla testa, si entra in un ambiente vuoto, fuori c’è lo schema del labirinto da memorizzare, se si toccano i muri immaginari il caschetto vibra. Sospetto una telecamera che riprende le mosse di questi sbandati che si muovono come in una foresta inesistente. Mi sento un po’ Depp in Paura e delirio a Las Vegas. Scappati dal labirinto passiamo alla zona design. Interessante un megaschermo della motorola su cui si può “disegnare” con una bomboletta finta che ha un sensore sullo spray, questo invia messaggi allo schermo che si colora secondo i vostri movimenti. Le mamme si contendono la bomboletta con i bambini, mi ci metto anche io, ovviamente. C’è l’angolo della apple, il cunicolo delle lampade Artemide, un progetto per migliorare il sistema di voto americano. Ma voi le avete viste le scatole con cui hanno votato in florida nel 2000 ??? Da non credere. Mi considero un essere mediamente intelligente, e non ho capito niente, dico niente, zero, null. Si mette la scheda, si ruotano i fogli e si punzona, tutto questo per una trentina di cartelle, poi si estrae la scheda e si controlla se i buchi corrispondono ai codici, in caso si ripete. Il tutto in una valigia aperta su un banchetto. Immagino un’angoscia da esame di maturità prima del voto. La mostra finisce con un computer che illustra alcuni progetti in corso. Uno in Africa distribuisce una giostra per bambini che trasforma la rotazione in lavoro per estrarre l’acqua da un pozzo. Geniale. Per una volta “lavoro minorile” ha una connotazione positiva. Dal Centre si esce stanchi, ma fuori è tornato il sole, clima estivo. Tanta gente, sembra una domenica di festa, senza la frenesia economica del Natale. Mangiamo un roulet ai semi di papavero e torniamo a casa.
Ceno con due biscotti perché il sandwich (sad-witch) è stato un colpo di grazia. Alle 20.30 c’è Viridiana di Bunuel alla Cinémathéque, arrivo in anticipo come sempre. Nous sommes desolés, le films est annullé. Problemi tecnici, accidenti. Insieme ad altri ripiego su “Le crime de Monsieur Lange” di Jean Renoir (1936). Un film semplice, ambientato in una casa editrice, lontano da Citizen K. La sceneggiatura è stata adattata da Prevert. La narrazione è conradiana: loro arrivano in un albergo alla frontiera belga, si nascondono, lo riconoscono e lei racconta la storia. Semplice e leggero, il film fatto bene, gli attori bravi, qualche trovata. Tipo lui che diventa famoso pubblicando una storiella per bambini “Arizona Jim” e il caporedattore che fa la corte alla cagnolina per ingraziarsi il finanziatore: “Ha un profilo greco” “E’ belga”. Rientro a casa per le 23, Diego è tornato questa sera, chiacchieriamo un po’ prima di addormentarci, si decide di parlare italiano ogni tanto, quando a lui serve per qualche esame o per un ripasso. Giornata gratificante.

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