Paris is a moveable feast ("Festa mobile" Hemingway). Blog su un erasmus a Parigi.

Friday, January 20, 2006

quatrevingtdixième jour -a caso-

Perché non mi si rimproveri il fatto di non scrivere, ecco qua quello che faccio. Vado alla cinémathèque.
1-Akira Kurosawa: Ikiru (Vivere)
Mr Watanabi. L’uomo qualunque. Il burocrate di un Giappone che si risveglia dalla guerra come un pachiderma imbottito di sedativi. E’ il “capo della popolazione”. Ma ognuno può essere capo di n’importe quoi, tanto ci si rinvia i casi da un dipartimento all’altro come in un flipper. Delle donne vagano per dieci uffici implorando il risanamento di una palude metropolitana. Chiedono un parco. Popolazione? Demanio? Opere pubbliche? Sanità? Nessuno. Ma con Watanabe è diverso, per la prima volta nella storia del cinema vediamo il nostro personaggio prima da dentro che da fuori. Il narratore ci mostra nella prima inquadratura una radiografia: Watanabe ha un tumore gastrico, lo saprà domani, gli resteranno cinque mesi da vivere. E io che mi stupivo che Ozon ci informasse di una malattia due minuti dopo l’inizio del film.
Il fine di questo personaggio è dunque morire. Niente attese, non ci saranno colpi di scena. Come sempre la storia è “cosa fare nel frattempo?”. Watanabi è disperato, rassegnato. Ha buttato tutta la sua vita nel lavoro, e adesso? Come vivere in cinque mesi una vita? Prima prova con un giovane scrittore che lo conduce tra le perdizioni della città. Il suo Virgilio. Poi incontra una ragazza che lavorava da lui. Sempre piegato, quasi sempre muto, patetico e spesso fastidioso Watanabi arriva a dirle “Guardarti mi mette la voglia di vivere”. La sua Beatrice. Lei costruisce coniglietti di peluche, “mi dà l’idea che i bambini mi siano amici”. E lui capisce, si illumina di una luce catto-comunista: bisogna fare qualcosa per il popolo. Torna al lavoro con il suo cappello da gigolo (il suo l’hanno rubato e ne compra uno in un quartiere a luci rosse) e decide: faremo il parco. “Ma è impossibile” no. Da qui un fiume di retorica. Watanabe muore e al suo funerale bevendo saké gli si fa un processo. L’assessore a qualcosa si è preso il merito del parco. E’ stato o no Watanabe? Alla fine, ubriachi, si decide che si, è stato lui con la sua insistenza, con la rassegnazione, è addirittura riuscito a creare qualcosa in Giappone, dove “per vuotare un cassetto servono le autorizzazioni sufficienti a riempirlo”. Da oggi tutto cambierà, si lavora per il popolo, raccogliamo l’eredità. Una scena dopo, il sostituto di Watanabe risponde a donne che portano una petizione “Andate alla Sanità, ufficio cinque”.
Però il parco si è fatto, e i bambini giocano.


Per non risparmiarvi nemmeno un film: “The ox-bow incident” visto una settimana fa. Con Henry Fonda. Uno dei più bei western di sempre, non so se da noi sia mai arrivato. In soli ottanta minuti Wellman ricrea “l’Antigone” nel west. La lotta tra buon senso e legge è qui la lotta tra giustizia da soli e legge. Del bestiame è stato sottratto e un uomo è stato ucciso, così dice un ragazzo al saloon. Si cerca di far ragionare la gente, ma no, non aspetteranno lo sceriffo che è andato a investigare sul luogo, bisogna trovare i colpevoli e giustiziarli subito. Tre contrari tra cui Fonda. Partono tutti. I primi tre stranieri che trovano sono i colpevoli. Hanno del bestiame del morto senza ricevuta. Il capo degli stranieri si spiega: sono amici, la ricevuta la spedirà. Inizia il processo da inquisizione: se confessi ti impicchiamo perché sei colpevole, se non confessi ti impicchiamo perché non confessi. Li impiccano, tutti e tre. Nello stesso istante arriva lo sceriffo. L’uomo non era morto, era stato solo ferito e i criminali sono stati presi. Sono morti tre innocenti, uno di loro prima della corda ha scritto una lettera alla moglie: “le leggi sono la coscienza di un popolo, non delle semplici parole”. E’ Fonda che ci legge la morale da contratto sociale.
Il film ha anche qualche battuta geniale. I due arrivano al bar:
Barista: “Cosa bevete, Whisky?
“Cos’hai?”
“Whisky”

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