Paris is a moveable feast ("Festa mobile" Hemingway). Blog su un erasmus a Parigi.

Saturday, March 04, 2006

Code

Attenzione: questo è il secondo post su un articolo di Repubblica in una settimana. Le cronache bucoliche da Parigi torneranno presto, restate in ascolto.

Ma come si fa a scrivere un articolo come quello di Arbasino su Repubblica di oggi (4 Marzo). Come si fa a reggere un pezzo su una sola idea: le mostre sono tutte uno spreco di tempo, dove masse di idioti si affollano in code chilometriche sotto pioggia acqua vento neve gelo lapilli e cenere ?. Oggi, perché in passato quando “noi” veri cultori dell’arte ci andavamo e le organizzavamo (e spiavamo i valletti con intenti lubrichi, trattandosi di autore che non manca di ammiccare alla proprie abitudini sessuali) allora si che la società cambiava secondo le imposizioni della cultura. Oggi si sta in fila per il gusto di starci, una sorta di piacere orgiastico per vedere quadri di nessun valore, noiosi e sconosciuti, anticaglia, medievalaglia e paccottiglia melanconica.
Queste le idee di Arbasino sulle mostre a Parigi.
Ora perché volerci litigare? Innanzitutto perché si da’ il caso che, al contrario di molti lettori a cui Arbasino rifila l’articolo, quelle mostre le ho viste. Evitando Girodet (retrospettiva classica in un museo altrettanto conservatore come il Louvre, in cui però a parte a Natale le code non superano la mezz’ora) parliamo di “Melancolie”. Sia Le Monde che Libération la inseriscono tra i pochissimi eventi che hanno salvato il 2005 francese. Touraine -tra gli altri- impone di andare a vedere questo che “è uno degli avvenimenti culturali più importanti degli ultimi vent’anni”. Si dice che sia un’expo che raccoglie bene lo spirito dell’epoca. E allora, Arbasino? Se il problema fossero solo le code basterebbe dire che tutti le odiano, e nessuno socializza, lo assicuro (ma Arbasino fa code? Ma vi prego). Ma dire “priva di opere celebri” è puro snobismo che millanta spirito intellettuale. Alcuni nomi? Le piccolissime incisioni sono di Durer, poi c’è Hopper, l’isola dei morti di Bocklin, Mueck, Friedrich, De la Tour. Ed è bello perché per una volta non è una retrospettiva, ma una collezione tematica (proprio quello che Arbasino rimpiange, come “non di richiamo”). Stessa cosa al Pompidou: nessuna logica, de Chirico un po’ dappertutto. Per la prima volta si fa una mostra tematica sul 900 e non cronologica. Picasso è nel “corpo”, ma anche nella “decostruzione”, e in tante altre sale. Ma questo disturba, come le centinaia di cartacce, schizzi e disegni accumulati all’expo di DADA (e cosa dovevano metterci?).

L’impressione è che Arbasino non abbia mai visto le mostre. Sono i racconti di un nipote trasformati in esercizio di stile -per altro pessimo- a uso di nessuno. La strategia, bassissima, di Arbasino sta infatti nel parlare di mostre già finite. Nessun potere di verifica, nessuna utilità per nessuno, se non il piacere (?) di sdilinquirsi sull’autore stupendosi di cotanta sapienza doviziosamente ostentata. Per questo deve trasformarlo in un pezzo sulle code. E anche se fossero vere queste code immotivate, è così strano che sia anche piacevole aspettare di entrare al Pompidou in una piazza spaziosa circondata da edifici parigini? Meglio l’oscuro porticato degli Uffizi dove tutto è rigorosamente immerso nell’ombra e catalogato secondo indiscutibili barriere cronologiche.

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